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Monday 17 March 2014

Tempest 10 miglia - 16 marzo 2014... oggi croce, ieri delizia


One lap route
Tempest, Tempest, Tempest, croce e delizia podistica di questi miei primi 3 anni e 2 mesi di permanenza in suolo inglese, gara cui partecipo per la quarta edizione consecutiva, appuntamento fisso ed ormai imprescindibile sul mio calendario tapascionesco britannico.

Arrivo all’evento abbastanza sereno e molto carico, due settimane esatte dopo il glorioso PB della Roma-Ostia, con la consapevolezza di poter abbassare il tempo fatto registrare lo scorso anno sullo stesso tracciato -per la cronaca molto collinare e caratterizzato da numerosi saliscendi- di 10 miglia (16.09 km). 
 
Zona partenza
 
velivoli in lontananza
 
Sparuto gruppetto di podisti curiosi
 
 
 
Lo scorso marzo, in una giornata grigia, senza vento e con 3 gradi di temperatura, avevo fatto registrare un ottimo 1h00’27’’ in totale scioltezza, tutto quindi lasciava presagire e pensare ad una grande prova anche nell’edizione 2014.

Purtroppo non sempre tutto procede come da previsioni e per me si è trattato di una giornata inaspettatamente deludente dal punto di vista della condotta di gara e delle sensazioni in generale.

Dopo un paio di chilometri di riscaldamento ed allunghi, malgrado il sole ed una temperatura primaverile di 13-14 gradi (all’ombra), decido stupidamente di indossare una maglia tecnica Odlo a maniche lunghe per neutralizzare le insidie di un vento in aumento che tira fastidiosamente in direzione ovest/est. Sarà una scelta sbagliata e soffrirò il caldo per buona parte di gara.

Al mio arrivo, come sempre noto un’ottima organizzazione, parcheggio immenso ed illimitato a bordo pista aeroporto, tanti bagni chimici, stand Mizuno, zona massaggi, il tutto all’interno di un ex aeroporto militare della RAF, oggi utilizzato come test track automobilistico e, dalla BBC, come set di riprese per un noto programma di prove di stuntman e di altri acrobati-piloti di bolidi a due e a quattro ruote.
 
Stand mobile Mizuno
Il culto inglese delle file
2 km di riscaldamento, dicevo, qualche allungo e sono pronto. Allo start, dato puntualmente alle 9.30 di questa domenica post-idi marzo, mi piazzo nelle primissime file di un serpentone di circa 1000 atleti (200 iscritti alla “mia” gara da 10 miglia, 800 atleti a quella da 20 miglia. Come sempre, quest’ultima gara consiste semplicemente nel ripetere due volte il tracciato della prima).

Ventosa zona start/finish un'ora prima della partenza

La partenza è ordinata, i primi 4 chilometri scivolano a ritmo regolare (3’42, 3’45, 3’41, 3’42) e si snodano all’interno dell’aeroporto, sul tarmac della pista stessa di decollo e atterraggio: ai lati alcuni velivoli in esposizione, spazi aperti, praterie immense di verde, molto vento, tracciato essenzialmente pianeggiante.

Imposto un passo regolare e vedo subito scappare un tizio non giovanissimo con canotteria verde con la faccia da extraterreste di una famosa pubblicità Kodak del passato (“ciribiribi kodak”) ma completamente pelato. Scoprirò, ex post, essere un “giovane” classe 1966, oggi vincitore indiscusso della mia gara. Davanti a me scappano altre 3-4 persone, ma già dopo neanche un quarto d’ora li recupero tutti tranne l’extraterrestre ed un altro: mi attesto al terzo posto ed inizio una gara di totale e desolante solitudine.

Dopo quattro chilometri si esce dall’area aeroportuale ed inizia un’altra corsa, fatta di saliscendi continui, di salite oggi per me spezzafiato, alcune molto ripide, altre solo lunghe. Fatico a tenere un buon ritmo ma fino al decimo mi difendo con poche perdite e con sostanziale onore (3’52, 3’51, 3’55, 3’57, 3’49, 3’42). So che il tracciato spiana fra il tredicesimo ed il traguardo, quindi scaccio i brutti pensieri e stringo i denti.

Sole accecante...ma sono davvero in Inghilterra?
Primi dieci chiusi in 37’56, più che accettabile considerato il percorso assai collinare, muscolare e soprattutto mai favorevole ad un noto “regolarista del passo” come me.

Meno accettabile, anzi direi traumatico, quello che succede dal decimo in poi: il respiro si fa affannoso, le gambe non rispondono, ho caldo, fatico a tenere un ritmo accettabile, vengo additittura superato da un paio di atleti della gara da 20 miglia.

Fra l’undicesimo ed il quindicesimo il tracciato si fa più pianeggiante, fatta eccezione per una salita molto ripida di 400-500 metri al km dodicesimo, eppure fatico, fatico, fatico e mi fa male il solito fianco destro (che poi sarebbe più lo sterno, appena sotto alla parte alta della cassa toracica), torna in tutta la sua crudeltà lo spettro di questo dolore, podisticamente invalidante, che lo scorso anno tante gare ha funestato, soprattutto la mezza di Oslo, e che speravo di essermi lasciato alle spalle...

Dall’undicesimo al quindicesimo, laddove avrei dovuto impostare una buona progressione e l’attacco decisivo, arranco, non ho forze, il fiato sembra mancare, rallento vistosamente (4’05, 3’51, 4’08, 4’06, 4’03), corro a tratti piegato in avanti per questo maledetto dolore.
Mi rendo conto immediatamente che in questa fase getto in fumo l’intera gara e le speranze di migliorare il tempo dello scorso anno. Quello che tuttavia mi fa infuriare è il riacutizzarsi di questo fastidioso ed infausto problema: al dodicesimo voglio fermarmi e tornare a piedi, poi penso che dovrei comunque percorrere lo stesso tracciato di gara, senza poter prendere scorciatoie per la macchina, quindi non ha senso gettare la spugna e continuo a correre.
Per quanto mi rigurda, la gioiosa giornata podistica si è interrotta al decimo chilometro, oltre il quale solo agonia e sconforto mi accompagnano all’arrivo.

Al termine del quattordicesimo chilometro sento alle spalle un incalzante incedere di passi e, dopo poco, mi supera un tizio in tenuta da triathlon: mi incoraggia e, vedendomi scurissimo in volto ed in pieno sconforto, mi incita a non mollare con nobile fair play inglese. Santo podista!

Dopo cinque chilometri di agonizzante corsa e ritmo da fondo medio (scarso), do una frustata di orgoglio a questo straccio di podista che sono oggi e, per paura (rivelatasi poi infondata) che il triatleta fosse iscritto alla mia stessa gara e potesse beffarmi una posizione al traguardo, lancio una progressione rabbiosa, approfittando del tracciato finalmente pianeggiante degli ultimi mille metri, lo supero e chiudo il sedicesimo in un inspiegabilmente veloce chilometro a 3’25!!

Tempo finale 1h01’38 per una media di 3’51/km ed una gara di 71 secondi più lenta rispetto a quella completata nel 2013 sul medesimo tracciato.

Non ha molto senso ovviamente il raffronto cronometrico da un anno all’altro, in condizioni di preparazione, climatiche ed ambientali diverse, ma a farmi rabbia è piuttosto il modo in cui dodici mesi fa ho concluso la gara, in totale scioltezza e brillantezza, rispetto alla sofferenza inspiegabile di oggi.

Ironia della sorte, nel 2013 ero giunto quarto e felicissimo senza il minimo affanno; oggi, malgrado la bruttissima prova, mi piazzo secondo assoluto!

Siccome c’è il sole, voglio tornare a casa e andare a leggere un bel libro al parco, decido di abbandonare il luogo dell’evento senza neanche attendere la premiazione e con un dolore bastardo al fianco/sterno che ancora adesso, a parecchie ore dalla gara, si fa sentire seppur con intensità del tutto lieve.

Brutte sensazioni, si volta pagina e si ricomincia, come la corsa insegna e come ormai dovrei aver bene imparato sulla mia stessa pelle. A volte si vince, a volte si perde. Oggi teoricamente ho vinto, visto che una seconda piazza fa sempre grande piacere, ma la latente e strisciante delusione somiglia tanto a quello che si prova dopo una cocente sconfitta.

Prossima “tappa” in calendario: venerdì di Pasqua, 18 aprile (Good Friday, qui giorno di festa), per un’altra corsa di dieci miglia, stavolta su tracciato più pianeggiante, prima del rientro a casa per qualche giorno in occasione delle vacanze pasquali.

Successivamente ho in calendario una veloce gara da 10 km (18 maggio), distanza che ho snobbato da parecchio, perdendo inevitabilmente allenamenti e qualità aerobiche.

Evviva le giornate lunghe, evviva l’imminente primavera, evviva la tradizione della Tempest nel bene e nel male!

Sunday 9 March 2014

Roma-Ostia - 2 marzo 2014 ...solo il coach poteva crederci


Dopo un letargico inizio di anno, caratterizzato da totale astinenza da gare per ben due mesi consecutivi, in una domenica di marzo mi ritrovo catapultato in quella che, insieme alla maratona di Berlino del prossimo 28 settembre, rappresentava e rappresenta la gara più importante di questo 2014.


Va detto che le premesse per una débâcle o, quantomeno, per un fragoroso tonfo nel tentativo di attaccare il mio PB sulla distanza dei 21097 metri (1h19’44, risalente all’aprile 2013, in occasione dell’affascinante e bucolica Pedagnalonga) erano tutte maledettamente presenti.

In particolare, dalla fine dello scorso novembre, quindi dalla gloriosa maratona di Firenze, ho attraversato un lungo e travagliato trimestre caratterizzato da:
Maledetta fascite


Sintomi influenzali, poi bronchite
Pure la benderella o bandelletta
  •         Fascite plantare al piede destro: fastidio che, purtroppo, ancora non è sparito e si ripresenta in forma variabilmente acuta al termine degli allenamenti
  •        Tosse, febbre, raffreddore, catarro esplosi il 28 dicembre e, a causa della mia testardaggine nel correre in qualunque condizione fisica e meteorologica, protrattisi in modo più o meno continuo per un mese, con tanto di “gran finale” a suon di bronchite e difficoltà respiratorie  
  •        Bagordi culinari pre-natalizi, natalizi, post-natalizi, che hanno portato la bilancia ad indicare +3 kg rispetto alla forma di fine novembre. Dal 6 gennaio non ho più osato neanche accendere la bilancia: evviva la tecnica dello struzzo!
  •         Dal primo febbraio sospetta sindrome BIT, o bandelletta ileo-tibiale o “ginocchio del corridore”, infiammazione che si presenta sotto forma di dolore nella zona posteriore-laterale del ginocchio sinistro. Il fastidio, emerso da inizio febbraio, di solito aumenta sensibilmente dopo 4-5 km di allenamento e, a quanto ho letto, è molto diffuso fra i podisti e di solito dovuto a “over-training”
  •          Pessime gare da 10 km disputate nel corso delle ferie natalizie, segnatamente la We Run Rome e la Corri per la Befana,  portate a termine con mediocri tempi e senza mai sentire uno straccio di sensazione positiva nelle gambe.


Mio stato d'animo da novembre a gennaio

Insomma, tutte le condizioni per fare una terribile figura sembravano non darmi possibilità alcuna per questa Roma-Ostia. Sensazioni pessime, peraltro, confermate da una fatica pazzesca ed anomala nel completare alcuni allenamenti fra fine gennaio e inizio di febbraio.  A questa fase di pietosa condizione sono seguiti 2-3 di lavori di qualità mai portati a termine (per esempio un’uscita di 15 km a ritmo gara, miseramente fallita il giorno 6 febbraio) ed al termine dei quali ho paventato l’ipotesi di annullare l'iscrizione alla Roma-Ostia, annunciando al coach l’intenzione di cercare un’altra mezzamaratona, in Inghilterra, magari a fine marzo/inizio aprile, quando sarebbe stato più probabile recuperare uno stato di forma accettabile.
 

Ecco cosa stava succedendo dentro di me a gennaio


Dunque, il lettore immagini lo scenario che si presentava al cospetto dello scrivente Brontorunner: un deprimente rientro dalle lunghe e rilassanti ferie natalizie italiane, un clima inglese tipicamente invernale ad "accogliermi" (= freddo, ventoso, umido, piovoso), delle giornate buie e cortissime, una condizione podisticamente negativa e tante speranze, riversate mesi prima, all’atto dell’iscrizione alla Roma-Ostia, in bilico sull’orlo del precipizio del fallimento.

CORAGGIO, C’E’ TEMPO PER RECUPERARE LA FORMA

...questo il mantra che andava ripetendo il coach dal Continente Nero: Dio solo sa quante volte le sue mi sono sembrate solo parole di circostanza, ingannevoli, infondate e, soprattutto, di mera consolazione verso un runner sulla via del tramonto! 

Nel giro di poche settimane mi sono trovato (podisticamente parlando) catapultato dalle stelle della Firenze Marathon alle stalle degli abissi più profondi di una condizione fisica pessima ed in balia di pensieri catastrofistici quali:
  1. “ormai ho raggiunto il mio massimo nella corsa e posso tutt’al più mantenere i livelli del 2013”,
  2. “ormai sono sulla via del declino”,
  3. “ormai devo pensare solo a correre per scaricare la tensione ma dimenticare la qualità”,
  4. ”ormai...ormai...ormai” e via di geremiadi piagnucolose sulla stessa linea.


Ormai sono un podista giunto al capolinea
 
A onor del vero, va aggiunto che da metà febbraio ho riscontrato un netto miglioramento fisico e, pertanto, nella qualità degli allenamenti, in un crescendo di positive ed insperate sensazioni di risalita.

Tanto piagnucoloso sono stato io a gennaio e in parte di febbraio, quanto veloce il coach nell’emettere il suo consueto e clamoroso verdetto previsionale, poche settimane prima della gara:

alla Roma-Ostia farai il tuo PB in 1h17’59“. 

FULMINE A CIEL SERENO!!!STRESS, ANSIA, STRESS!!



Stress nel sostenere il macigno delle aspettative del coach
 
Le previsioni del coach non sono stime su quanto avverrà nel futuro...sono ORDINI PERENTORI che segnalano il sottile confine fra la sua soddisfazione e la delusione totale!!!!


Ma che cosa è la Roma-Ostia?

Da Roma al mare

Freddi numeri alla mano, si tratta del la mezzamaratona più “partecipata” d’Italia, con quasi 14mila iscritti (il 7% dei quali stranieri), un appuntamento a dir poco imperdibile per qualsiasi podista italiano, un evento capace di attirare atleti di livello internazionale e giunto alla sua quarantesima edizione.
 
La Roma-Ostia è però qualcosa di più dei semplici numeri:  è gara affascinante e unica,  è un tracciato paesaggisticamente non tra i migliori ma suggestivo come pochi se ne vedono in giro.
 
Si parte dalla città (PalaLottomatica, ex PalaEur) e si arriva sul mar Tirreno, che mi ha cresciuto e al quale, personalmente, tendo sempre sguardo e pensieri ogni volta che rientro a casa.
 
E’ gara che si disputa su un percorso tutt’altro che pianeggiante e che, tuttavia, come va dicendo da sempre il coach, in un modo o nell’altro fa registrare tempi velocissimi e PB in numerosi atleti.
 
E’ gara che segue il classico itinerario della “transumanza” dei cittadini che invadono le coste da giugno a settembre, percorrendo la via Cristoforo Colombo, un’arteria un tempo di festanti migrazioni di massa, negli anni dell’Italia del boom economico, delle villeggiature, della spensieratezza lunga tre mesi.
 
Ho corso questa affascinante gara una sola volta, esattamente dieci anni fa, il 29 febbraio di un anno bisestile: ricordo una partenza con grandine e nevischio all’EUR e un arrivo al mare soleggiato, ricordo Luca (non ancora coach ma “solo” fratello maggiore!) che si era scordato a casa il pettorale ed il chip, ricordo il mio arrivo con un tempo di 1h42’43 e gli ultimi chilometri di grande sofferenza...intestinale.
 
Oggi tutto appare ed è effettivamente molto diverso: il fratello si è trasformato in uno spietato coach, mentre il timido e scrivente jogger di allora corre fieramente con il grado di maratoneta ben luccicante su un'immaginaria divisa podistica. Chi l’avrebbe mai detto? Quante cose cambiano in un decennio...
 

 

La cronaca:
 
La mattina della gara ho rischiato seriamente di non arrivare alla zona partenza: in una grottesca manifestazione di rincoglionimento galoppante, l’autista dell’autobus affittato dalla mia gloriosa società podistica di appartenza e che avrebbe dovuto caricarmi in prossimità dello stadio delle Terme di Caracalla per portarmi alla zona start, si accorge la mattina stessa di non avere il permesso per accedere al centro di Roma e, pertanto, costringe me, Daniele e Filippo, gagliardi acquilotti, ad arrangiarci e a raggiungere l’EUR con mezzi nostri, in una frenetica corsa contro il tempo.
 
Sale la tensione, da Caracalla prendo la Colombo e arrivo in zona Eur senza problemi di traffico (il vantaggio di correre di domenica mattina presto): supero l’obelisco, parcheggio sotto al palazzo delle Poste. Il bus dei nostri compagni di squadra arriva tardissimo, quindi è costretto dagli organizzatori a fermarsi ad 1.5 km dalla partenza, faccio in tempo a raggiungerlo corricchiando, ritiro il pettorale, ringhio all’autista, mi cambio a bordo con velocità e tecnica fantozziane e riesco anche ad effettuare qualche minuto di riscaldamento pre-gara, prima di schierarmi nella griglia di appartenenza.
 
Accreditato con il tempo di Pedagnalonga (1h19’44), ho diritto alla partenza dalla griglia nera (under 1h20), la prima subito dietro agli atleti professionisti (élite).
 
Con sorpresa, constato un numero molto esiguo di atleti in questo blocco di partenza,  il che mi permette di entrare in "gabbia" appena 15 minuti prima dello start senza neanche dover lavorare di gomito per guadagnare le prime file. Davanti a me vedo i magrissimi atleti africani, veri e propri scheletri volanti, sembrano malati terminali più che formidabili atleti.
 
Dietro di me un serpentone formato da oltre 11mila atleti, davanti a me solo 21097 metri di speranza, di gioia, di fatica, di incognite e potenziali trappole lungo il percorso, di possibili trionfi o cocenti delusioni, 21097 metri che non mi separano semplicemente dal mare, ma anche e soprattutto dai sogni o dagli incubi degli ultimi due mesi.
 
Prima della corsa avevo letto il blog del sommo maestro Giancarlo “RB”, rimanendo incantato dalla sua meticolosa descrizione del tracciato di gara: per chi fosse interessato al suo modo sublime di cogliere e condividere sfumature e dettagli di ogni singolo passaggio, consiglio vivamente il seguente post: 
 

Il coach, molto più pragmaticamente e sinteticamente, mi aveva consigliato una partenza forte (a 3’40/km o anche più veloce) per i primi 3-4 chilometri, salvo poi stabilizzare il ritmo-gara intorno ai 3’45/km, affrontare la temutissima salita del campeggio “in difesa ma senza cedere” e sparare tutte le cartucce residue dal km 13-14 al traguardo.

Allo start indosso, da bravo “nordico” che torna in Patria, la canottiera LRT, ci sono 8 gradi, il cielo è nuvoloso ed il vento ancora debole da sud-sud/est, quindi tendenzialmente laterale. Ai piedi debuttano le Adidas Feather 3.

3, 2, 1...VIAAA!!!
 
La prima cosa che constato, appena partito, è che le gambe non sembrano affatto d’accordo con il piano del coach di andare forte: se i primi due km (in leggera discesa) li chiudo rispettivamente a 3’38 e 3’39, già al terzo (3’41) e al quarto (3’45) qualche strappo in salita presenta un primo salato conto cronometrico. Chiudo i primi 5 km in 18’46
 
Sesto (3’51) e settimo (3’44) sono ancora in leggera salita, salvo poi lasciare spazio ad una importante discesa che mi permette di chiudere l’ottavo (3’36) ed il nono (3’38) ad un ottimo passo, con un buon abbrivio e senza mai davvero sentire fatica.
 
Al km 9.5 inizia una arrampicata lunga 1400 metri: la famigerata e temutissima “salita del campeggio”, la cui pendenza e lunghezza inevitabilmente rallentano il mio passo (decimo chiuso a 3’44 e undicesimo a 4’00).
 
Devo ammettere di cavarmela bene in salita, almeno così mi sembra a giudicare dal bilancio attivo fra sorpassi fatti e sorpassi subiti. Penso ai consigli del coach e mantengo un buon ritmo, senza esagerare ma senza neanche tirare i remi in barca.
 
Secondi 5 km chiusi in 18’45, regolarissimo malgrado le irregolarità del percorso. Passo ai dieci km in 37’31 e, anche se non guardavo il tempo totale durante la gara, sono molto soddisfatto di avere chiuso i primi diecimila metri un minuto più velocemente rispetto ai mediocri tempi delle due gare di 10 km disputate durante le ferie natalizie.
 
Il dodicesimo chilometro (3’50), malgrado una iniziale discesa ripida di 150 metri, riprende a salire facendomi chiedere più volte come sia possibile che questa gara “regali” PB a tanti atleti di ogni età, razza, livello e genere.
 
Dal km 12 al km 17, finalmente, finalmente e finalmente la strada scende prima ripidamente per 1500 metri e poi gradualmente per 3500 metri. E’ qui che escono fuori energie inaspettate ed è in questa fase che carico i pallettoni della mia trance agonistica (3’38, 3’37, 3’37, 3’41, 3’40).

Ricordo le parole di RB mentre scollino e giungo alla sommità di questo gran premio della montagna, (“Se ancora ne avete, è segno che il tempo lo farete alla grande”) e mi accorgo di quanto avesse ragione.
 
Terzi 5 km chiusi in 18’42

Da metà diciassettesimo al diciannovesimo si percorre un falsopiano in leggera salita, il che non mi impedisce di chiudere il diciottesimo in 3’41 ed il diciannovesimo addirittura in 3’38.

Da qualche minuto, in una sorta di elastico, rivaleggio con un gagliardo podista dalla tenuta viola sgargiante (abbigliamento da triatleta), che nelle salite sorpasso regolarmente ma che come un grillo mi riprende in discesa. E’ un ottimo incentivo a tenere il ritmo alto, anche se non entro mai in affanno respiratorio ne’ tantomeno il dolore al fianco destro sembra volersi affacciare questa mattina.
 
Quando ormai all’orizzonte si vede un maestoso mar Tirreno, reso chiaro dal forte contrasto con un minaccioso fronte di nuvole nerissime e cariche di temporale, le gambe sembrano pervase da una ritrovata vitalità e mi permettono di chiudere il ventesimo km in 3’38 ed il ventunesimo addirittura in 3’28, malgrado 300 metri di forte vento contrario.

Quarti 5 km chiusi in: 18’29
Secondi 10 km chiusi in 37'11


Ultimi 300 metri di gara

Quando mi avvicino al traguardo, leggo i tabelloni cronometrici e mi accorgo di essere abbondantemente sotto all’impensabile soglia di 1h18.

Giusto il tempo di realizzare che anche questa volta il coach aveva pienamente ragione ed il cronometro si ferma a 1h17’51, per una mezzamaratona corsa per la prima volta in vita mia alla media di 3’41/km, in un tempo di due minuti migliore rispetto al precedente PB!

Ultimo sforzo prima del traguardo. Magari non n in forma Firenze, ma la gamba va...

La gioia e le emozioni di simile risultato mi fanno dimenticare tutto d’un tratto fascite, bandelletta ileotibiale, acciacchi vari, tempi deludenti degli ultimi due mesi, tentativo di PB alla mezza di Oslo naufragato in lancinanti dolori al fianco e tante altre piccole sconfitte che, mi sia da insegnamento, andavano solo prese come elementi fortificanti e di crescita nel mio cammino di podista.
 
Arrivo al traguardo della Roma-Ostia senza mai essere andato in affanno, senza mai avere sentito fatica e senza neanche avere avuto il fiatone. Questa facilità di corsa e condizione straripante faranno porre al coach dubbi amletici del tipo "avresti potuto osare di più?" "che cosa hai aspettato a spingere fino ai limiti massimi se avevi ancora energie?".

Noncurante di tali cazziatoni, mi godo il fatto che in una sola corsa si sono condensate le medesime emozioni vissute nel gennaio 2013 – quando, con immensa gioia, per la prima volta ho visto crollare il muro dei 36’ sui 10km - e del novembre 2013, quando ho concluso la maratona di Firenze senza mai andare in debito di ossigeno e con il sorriso dal primo al quarantaduesimo chilometro.

Un fantastico mix di emozioni positive e di corsa facile...

In una nuvolosa e piovosa domenica di inizio marzo - quando le speranze di qualsiasi miglioramento dei tempi sulla mezzamaratona sembravano ormai ridotte all’inconsistenza - ecco realizzarsi con minuziosa precisione la profezia del coach ed ecco arrivare dritte al cuore quelle sensazioni uniche di totale gioia per avere raggiunto un traguardo tanto importante, dopo mesi difficili, dopo allenamenti travagliati al freddo, al buio, in solitudine e sotto la pioggia, fra trasferte di lavoro e salute instabile.
 
Alla Roma-Ostia 2014 arrivo 178mo su 11275 podisti giunti al traguardo (32mo di categoria su 1192).
 
I "rimpianti" di questa gara sono pochi ma non meno importanti delle soddisfazioni: non
essere riuscito a salutare alcun blogger in partenza o in arrivo; non essere riuscito a salutare il quadrupede Caio; non essermi potuto godere il festoso clima pre-partenza a causa delle vicissitudini logistiche dell'autobus fantasma".

Prossime gare in calendario: l’ondulata Tempest 10 miles (16 marzo), la filante Maidenhead 10 miles (18 aprile) e la veloce Staines 10k (18 maggio).

Medito di iscrivermi ad un’altra mezzamaratona a fine marzo ma non sono ancora del tutto convinto ed i posti ancora liberi stanno esaurendosi a gran ritmo.
 
Per ora mi godo questa bellissima soddisfazione, che mi ripaga di tanti sacrifici sportivi e mi dà ulteriori energie in vista del grande evento dell'anno, la maratona di Berlino, così lontana dal punto di vista temporale eppure così vicina nei miei pensieri.

Evviva i podisti romani, evviva la mezzamaratona più affollata d’Italia, evviva il coach!