E’ sempre
fastidioso parlare di un insuccesso podistico e questa gara, che nelle
aspettative mie e del coach poteva rappresentare la ciliegina
sulla torta di un 2014 finora ricco di soddisfazioni, si è alla fine rivelata un
sostanziale e fragoroso fiasco.
L’obiettivo era
quello di fare un grande tempo sui 10 km, distanza che storicamente tendo a
sottovalutare e/o a soffrire oltre il normale. Per grande tempo, in condizioni
climatiche favorevoli e su tracciato veloce e pianeggiante, intendo un “under 36’ ”,
soglia sotto la quale sono andato solamente una volta nell’ormai lontanissimo
gennaio 2013 (35’45) e obiettivo che il coach ritiene essere assolutamente alla
mia portata in ogni gara di 10 km, purché preparata con un minimo di attenzione.
Va detto
che giungevo all’appuntamento dopo avere fatto tutti i “compiti a casa” nelle
settimane precedenti di preparazione e dopo avere corso una gara di 10 km sette giorni
prima a 3’42/km senza neanche faticare, in scioltezza e quasi senza sudare.
Premesse a parte,
mi presento in zona partenza di questa “Richmond 10k” dopo avere parcheggiato
la macchina a due passi dal Tamigi, vicino allo stadio del rugby di Twickenham,
vero e proprio luogo di pellegrinaggio per gli amanti di tale nobile disciplina
sportiva.
E’ domenica, mi sono svegliato alle 6, ho fatto la mia consueta
colazione, c’è un maestoso sole, non vedo nuvole, non tira vento. Il
meteo della vigilia aveva predetto 20 gradi fra le ore 8 e le ore 10. Clima,
in definitiva ed in teoria, adatto ad una corsa di 10 km.
Peraltro, ad
aggiungere ulteriore pepe e motivazioni alla sfida, è anche la presenza di 10-12 atleti della mia squadra inglese (il Woking Athletic Club), oltre al livello di gara piuttosto elevato (lo scorso anno il
vincitore ha chiuso in 30’50) che scongiura qualsiasi rischio di non trovare
un buon treno di podisti cui accordarmi per tenere un ritmo vivace.
Fatte tutte le
dovute premesse, posso procedere alla cronaca dei fatti.
Se il buon giorno si vede dal mattino...
Il riscaldamento
raramente rappresenta un indicatore attendibile della condizione di un podista,
almeno non per me.
In allenamento,
quando inizio a corricchiare per i consueti 10-15’ di “warm up”, il 90% delle volte
mi ritrovo a dubitare seriamente circa le possibilità di portare a termine il
lavoro di qualità previsto, ma il 99% delle volte le cattive impressioni
vengono spazzate via e si rivelano infondate.
Stavolta, invece,
le pessime sensazioni pre-gara si riveleranno fondatissime e rispecchieranno il
mio stato di assoluta debolezza.
Nei due chilometri di riscaldamento “al trotto”,
infatti, noto subito gambe pesantissime, una spossatezza diffusa, sudo
parecchio, il sole picchia sulla testa a picco e mi rintrona, ho caldo, anche i
semplici allunghi diventato un’impresa titanica. Così non va.
Dopo essermi
bagnato 3 volte la testa ed aver salutato i compagni di squadra del Woking AC,
mi avvio alla zona start e scopro con disappunto che la massa di circa 500
podisti ha già occupato tutta la zona del rettilineo (150 metri
su erba), il che significa che dovrò districarmi non poco per non partire dalle
retrovie.
La gara
Alle 9 la
partenza viene data con perfetta puntualità, io arranco fra centinaia di gambe,
subito dopo il pratone della partenza si giunge ad una strettoia, a tratti
rallento vistosamente ma non demordo.
Fra slalom,
accelerazioni, brusche frenate e cambi di direzione, riesco non so come a
chiudere il primo chilometro ad un ritmo più lento del previsto ma ancora
accettabile (3’38). Da lì al traguardo, tuttavia, solamente luce spenta e
black out totale.
Poco prima del
secondo km (3’41), il serpentone di podisti si incanala su un sentiero lungo il
Tamigi che, seppur asfaltato e pianeggiante, non consente vie di fuga laterali
(rovi e cespugli a sinistra, fiume a
destra), quasi fosse un restringimento da quattro ad un carreggiata
sul Grande Raccordo Anulare in orario di punta: una vera e propria tonnara.
Sono
imbottigliato e da lì decido di arrendermi senza neanche salvare la
faccia, un po’ per la fiacca che non permette alle gambe di girare ed un po’
per la frustrazione dovuta al traffico insormontabile.
Dopo oltre un km
su questo demenziale tratto lungo il Tamigi, largo non più di
1.5 metri, si fa una inversione di marcia, curva a 180 gradi e terzo chilometro
balneare-vacanziero (3’46). Si ripete il giro lungo la strettoia a bordo Tamigi
ed i parziali dal quarto all’ottavo chilometro
(3’43, 3’45, 3’47, 3’49, 3’46) sono la dimostrazione del fatto che sto correndo solamente per arrivare al traguardo e togliermi di mezzo questa corsa
disastrosa.
Dal terzo chilometro le gambe non sono più alimentate dal carburante della motivazione ,
ho molto caldo, lo speaker in partenza aveva parlato di 23 gradi, al sole
saranno 26-27, decisamente troppi per me.
Non sono scuse, ma se arranco
anche per percorrere un solo chilometro a 3’40, come posso non imputare a qualche
fattore esterno (come il caldo) il mio disastro odierno?
Solamente la
vista alle mie spalle di un compagno di squadra (ultracinquantenne) mi darà un
rigurgito di orgoglio che mi farà allungare nel finale, giusto per non essere superato.
Chiudo
il nono ed il decimo chilometro rispettivamente a 3’41 ed a 3’35.
Da gps 10060
metri finali in 37’24, il peggiore risultato sulla distanza degli ultimi 12
mesi (escluse le due sgambate sotto
Natale corse in stato febbricitante e senza alcuno spirito agonistico).
La storia ricorda che
anche nel giugno del 2013 simili, pessime sensazioni si erano palesate in occasione di
una corsa di 10 km, sempre in riva al Tamigi. Forse non si
tratta di una coincidenza e forse devo semplicemente imparare ad astenermi dal gareggiare da
giugno a settembre.
And now?
Adesso pensieri,
corpo, concentrazione e allenamenti sono tutti rivolti alla maratona di Berlino
del 28 settembre.
Bisogna
scrollarsi di dosso la negatività di questa stupida Richmond 10k,
prendersi 3-4 giorni di riposo e scarico mentale e ricominciare, dal 1 luglio, la
prima delle tredici lunghissime e massacranti settimane di preparazione alla maratona.
Affronto
l’appuntamento con grandi motivazioni ma anche con una brutta fascite plantare
che, dallo scorso novembre, non mi ha praticamente mai dato tregua. So che
aumentare il chilometraggio settimanale a 100-110 non farà per niente bene a questa
fastidiosa infiammazione, ma ho tutta l’intenzione di provare e valutare in
corso d’opera se il fisico mi permette di andare avanti come da previsioni.
Al momento,
dunque, alcune incognite sono presenti ma anche la voglia di (ri)mettermi sotto con
il massimo impegno e di fare il possibile (ed anche l’impossibile) per varcare il traguardo della Porta di Brandeburgo, sottile confine fra una stagione gloriosa o un anno appena accettabile.