Senza senza mezzi termini, posso finalmente dire di avere vinto la mia prima maratona.
Da quando ho finalizzato
l’iscrizione alla maratona di Firenze, il 25 maggio scorso, non è passato
giorno senza che non pensassi almeno una
volta a questo evento, per me inarrivabile ed anche solo inconcepibile fino a
qualche mese fa, fonte di terrore ed angoscia indicibili.
La preparazione
specifica alla maratona inizia inizia lunedì 30 settembre con un progressivo di 24 km, ma nella mia testa era
ovviamente cominciata mesi e mesi prima, da quando insieme al coach e ai Rea
brothers, al termine della gloriosa trasferta podistica di Eton, decidemmo di
tentare il grande passo ed iscriverci alla 30ma edizione della Firenze Marathon.
Sotto il suo sguardo austero |
Da San Miniato, semplicemente incantevole |
Tetti rossi fiorentini |
Mi domando come
sia possibile condensare in un semplice post la marea di emozioni che ho
immaginato e sognato centinaia a centinaia di volte da quando ho iniziato a
scrivere su questo blog, due anni fa, e che adesso sono diventate realtà viva,
bellissima, commovente e travolgente.
Mi scuso inoltre
per la mancanza di sintesi e per l’eruzione di emozioni che zampilleranno da
queste mie parole scritte.
Ho iniziato a
correre in maniera razionale e sotto la FONDAMENTALE guida del coach appena 22
mesi fa ed in quasi due anni sono passato dallo status di “podista della
domenica”, con al massimo 3 corsette lente a settimana di 40-50 minuti, al
poter preparare una maratona senza mai saltare un allenamento, in ogni
condizione climatica, con il fisico sempre dietro a “tenere botta” ad un carico
settimanale di 100-105 km distribuiti su 5 allenamenti.
Dico una ovvietà ma la
maratona, a quanto ho potuto constatare dalla mia prima e umile esperienza
diretta, comincia e quasi si esaurisce
nella fase di preparazione, con gli allenamenti inifiniti che travolgono le tue
giornate, che impongono un’organizzazione del tempo certosina, condizionano
l’alimentazione, modificano bioritmi e tempistiche quotidiane, portano a
sacrifici nella vita privata e ne impongono agli altri, conducono oltre il limite
delle proprie capacità di resistenza ad ogni tentazione di riposo, di
ozio, di sosta ai box quando si va in trasferta di lavoro, magari a Bruxelles, quando
fuori diluvia ed hai un paio d’ore libere dopo una riunione fiume e prima della
cena con il capo...Che faccio? Indugio al bar dell’hotel con il capo che beve 4
birre in 20 minuti e non ha alcuna cura della propria salute oppure corro in
stanza, mi cambio ed esco per una sessione di medio al Parc Royal buio e
allagato? Adoro la birra, ma ovviamente si corre, si corre, si corre, si corre.
A cena ci si presenta in ritardo di qualche minuto magari, si sopporta il
sorrisetto ironico del nord-europeo di turno che non capisce la stravagante -
per me irrinunciabile - ragione podistica alla base del ritardo.
Negli ultimi due
mesi ho vinto la mia prima maratona ogni volta che il coach mi scriveva,
dall’altra parte del mondo, “allenamento impeccabile” o quando il lunghissimo
di 36 km si chiudeva con gli ultimi due chilometri a 4’00 e a 3’45 e alla media
finale di 4’11/km su un tracciato non certo perfettamente pianeggiante.
Ho vinto la mia
prima maratona ogni volta che le ginocchia hanno retto e mi hanno permesso di
affrontare l’allenamento successivo, ogni volta che la schiena ha permesso di
correre senza problemi, ogni volta che il vento, il freddo ed il buio delle
sessioni infrasettimanali post-lavoro non hanno avuto il sopravvento e non mi
hanno fatto ammalare, raffreddare, influenzare o, peggio ancora, passare la
voglia di uscire.
Ho vinto la mia
prima maratona quando ho portato a termine il mio primo lunghissimo di 31 km il
giorno stesso dell’arrivo del tifone Giuda, che ha funestato le isole
britanniche qualche settimana fa, faticando a restare in piedi quando le
raffiche di vento mi sorprendevano lateralmente, quasi sfidando la forza della
natura.
Ho vinto la mia
prima maratona quando ho iniziato a leggere e ad interagire con il gruppo dei
blogger che mi ha fatto conoscere il coach prima di partire per l’Africa:
persone incredibili, prima ancora che atleti, triatleti, iron men e veterani
della maratona. Mi hanno accolto nel loro mondo con consigli saggi,
incoraggiamenti sinceri, meritatissime prese in giro e trasmettendomi enorme
fiducia alla vigilia del mio esordio in maratona, proprio quando l’esempio di
chi aveva vasta esperienza alle spalle risultava vitale.
Ho vinto la mia
prima maratona presentandomi ai nastri di partenza in una splendida giornata di
sole fiorentino con la cattiveria agonistica negli occhi (eyes of tiger), ma
anche con le emozioni ed il groppo in gola, la serenità nella testa malgrado
una fascite plantare che, beffardamente, è emersa 5 giorni prima della gara e mi ha
tenuto in seria apprensione fino all’ultimo.
Cronaca di un
memorabile fine settimana fiorentino:
Le dovute
premesse sono che martedì 19 novembre, all’inizio dell’ultimo lavoro di
qualità (in pista), un forte dolore fra il tallone e la pianta del piede destro
si è improvvisamente palesato, gettandomi in uno stato di sconforto e di
allarme massimo sulla scala ipocondriaca del più tipico dei podisti-tapascioni.
Ora, non è certo
una novità per un podista convivere con mille spie, che il corpo accende
continuamente per avvisarci di inconvenienti, problemi e (solo raramente)
infortuni. La differenza fra un innocuo doloretto ed un potenziale infortunio è che
il primo di solito sparisce dopo pochi minuti dall’inizio dell’allenamento,
mentre il secondo si aggrava o resta costante per tutta la sessione e per i
giorni a seguire. Purtroppo, nel mio caso, malgrado un ottimo riscaldamento su
terreno morbido di oltre 20’, coronato dai doverosi allunghi, il dolore al
piede è rimasto costante per tutte e cinque le ripetute di 2000 mt, che testardamente
(stupidamente?) ho portato a termine senza fermarmi, e soprattutto è andato
aumentando nei giorni successivi.
TRAGEDIA, DRAMMA,
FUNESTI SCENARI ALL’ORIZZONTE, SCONFORTO, CROLLO DI TUTTO IL LAVORO DEGLI
ULTIMI MESI?
Con queste domande
in testa, in sintesi, ho vissuto gli ultimi cinque giorni prima della mia maratona: dubbi amletici, incertezze, frenetica
ricerca di un fisioterapista, indicibile “sollievo” nell’apprendere da
quest’ultimo che avrei potuto provare a correre la gara, testando “maratona-durante”
l’entità effettiva del dolore
dovuto alla fascite plantare diagnosticatami.
A poche ore dalla partenza...segnali non incoraggianti dal piede |
Insomma, un via
libera a presentarmi allo start sotto la pesantissima riserva e spada di
Damocle di ritirarmi immediatamente in caso di dolore crescente e, soprattutto,
con “promessa” di iniziare un lungo periodo di riposo (nuoto e al massimo bici)
nelle settimane successive alla maratona.
Infortunio o meno, questo il mio mantra |
Se proprio dovesse andare male, so già da quale ponte sull'Arno gettarmi |
Dalla Nigeria, frattanto,
il fratello-coach mandava messaggi in bottiglia positivi e confortanti,
ribadendo senza mezzi termini il suo ottimismo –che già da due mesi mi
accompagnava peraltro in ogni fase della preparazione. Di seguito due dei suoi ormai celebri oracoli
pre-gara:
·
“chiuderai alla media di 4’08-4’09/km”
·
“non avrai problemi per il dolore della
fascite plantare durante la gara, semmai dopo”
...IPSE DIXIT
Atterro a
Fiumicino venerdì 22 verso ora di pranzo e sono accolto da un cielo
plumbeo e da una pioggia molto British, che peraltro mi accompagnerà fino
all’arrivo a Firenze il sabato a ora di pranzo. Iniziamo male.
Nei giorni
precedenti la maratona il meteo viene consultato dal sottoscritto e dai blogger con
frenetica impazienza: le ultimissime dicevano che a Firenze la pioggia non
sarebbe caduta domenica, come invece era stato previsto precedentemente, ma il
vento di tramontana era dato in aumento (16 km/h alle ore 9.00 e 27 km/h alle
ore 12.00), con una temperatura ideale per correre (10-12 gradi).
Penso
all’allenamento in pieno tifone Jude di qualche settimana prima, ricordo che
vengo da un Paese in cui il vento è costante ed il freddo pungente, almeno
sotto questo punto di vista mi sento largamente avvantaggiato rispetto ai
runners romani.
A proposito di
questi, la spedizione fiorentina è formata da un gruppo chiassoso e grintosissimo
di aquile LRT (il sottoscritto+Cinzia, Stefano+moglie e figlioletto,
Daniele+moglie e figlia, Francesco+moglie e due amici, Raffaele, Andrea+moglie
e, ultimi ma solo in ordine di elencazione, gli insostituibli Fabio e
Giampiero, ormai consolidati compagni di
trasferte podistiche in giro per l’Europa e per l’Italia).
Transenne lungo il percorso, davanti al nostro hotel, siamo al km 41.5! |
Preso possesso
della comodissima camera dell’Hotel Best Western River, ubicato strategicamente
sul Lungarno a neanche 50 metri dalla partenza della gara, il pomeriggio passa
fra ritrovo e saluti degli atleti giunti da Roma, ritiro pettorale presso il
grande villaggio-expo dedicato all’evento, pieno di stand sportivi, con il
maratoneta Baldini sul palco, il tutto a due passi dallo Stadio Artemio Franchi.
Il ritiro del pettorale gara: inizia la sfida |
Col calare del buio, giro a piedi per il
centro storico di una fredda, piovosa e umida Firenze.
Conciliabolo degli atleti prima di cena |
No comment |
Atleti ed
accompagnatori, giunta la sera, confluiscono presso la trattoria Zio Gigi,
dietro al Duomo fiorentino, insieme ad una decina di blogger guidati da capitan
Giancarlo “Runner Blade” e vice-capitano Gianluca “Master”, clamorosi Iron Men
e veterani maratoneti di lungo corso, oltre che atleti con due palle d’acciaio
(tanto per citare il nostro premier).
Blogger, aquilotti, familiari, amici...tutti pronti al PB con coltello e forchetta!! |
Da Zio Gigi
saremo alla fine in 26, nessuno dà buca, tutti sono affamati, tutti
caciaroni, tutti uniti da una (in)sana passione per la corsa, tutti pronti al
grande giorno: mi guardo intorno e vedo persone che dedicano allo sport tanto
del loro tempo senza per questo sottrarsi agli impegni familiari, alle
difficoltà ed alle responsabilità quotidiane, al lavoro e a tutte quelle
incombenze che rendono ancora più ammirevoli gli sforzi degli sportivi
amatoriali che vincono la sfida quotidiana anche contro ozio, sedentarietà e
pigrizia.
La cena è
preceduta da una coppa gelato gigantesca che io e Cinzia ci concediamo presso
una referenziata gelateria artigianale dalla qualità a dir poco superiore:
un pistacchio commovente, un cioccolato amaro fondente da urlo, per non parlare
del gusto “mittica” a base di nocciole che ancora mi fa avere nostalgia del
posto. Questo sarebbe già sufficiente come carbo-load per un paio di
maratone, ma sono affamatissimo ed in gran volata mi avvio all’osteria scelta
per la vigilia.
Pre-pre-carbo load...con la scusa della maratona... |
Giunti tutti
puntuali alle ore 20 presso la ruspantissima osteria di “Zio Gigi”, al mio
tavolo io e Cinzia siamo allietati dalla compagnia della famiglia di Stefano,
gagliardo M35, compagno di squadra LRT, triatleta, partito da Roma con l’ascia
di guerra per migliorare il PB di 3h04 e, forse, per scendere sotto la
grande barriera delle 3 ore.
Ruspantissima osteria a due passi dal Duomo |
Per me si tratta
di un valido pace maker, di un volto amico con cui correre per tutta la durata
della corsa, di un sostegno in caso di crisi. Anche lui, come Daniele,
Giampiero e Francesco, è stato un piacevole interlocutore nelle settimane
precedenti la maratona, quando ci siamo raccontati gli allenamenti, le
impressioni, le paure ed anche i segnali positivi quotidiani riscontrati nel
corso del graduale avvicinamento alla fatidica data del 24 novembre.
Stefano e signora |
La cena è da
atleti (affamatissimi): piatto da due etti di spaghetti al ragù,
pollo alla griglia e patate novelle al forno. Con piacere constato che la stessa
cosa ordina Stefano: se dobbiamo fare gara insieme, è giusto partire con lo
stesso carico di carboidrati, anche se durante la cena scoprirò che
lui viene da mesi di meticolosissimo regime alimentare dettato da rigide regole
e combinazioni di cibi consone alle esigenze sportive...Una bella
determinazione, anche se la moglie non nasconde una certa insofferenza verso
tale ortodossia alimentare! Io, quasi facendomi tenerezza, penso alla mia
specialità post-lunghissimi (pasta ricotta e spinaci o asparagi e ricotta) di cui
vado tanto fiero ma che magari non è consona alla bibbia dell’alimentazione
del vero atleta.
La cena procede
al meglio, il servizio è rapidissimo malgrado il locale affollato,
segretamente ogni tanto “spio” RB e Master, agonisticamente presenti quanto
basta ma forti e rilassati vista la loro esperienza.
Il barbuto “zio” Gigi
in persona, proprietario e cameriere, gira per i tavoli e ogni tanto intona
improbabili e rumorosissimi canti; l’allegra banda di commensali rumoreggia e
mangia di gusto. Fuori fa freddo e prima di arrivare al ristorante una leggera
pioggia ha anche bagnato Firenze. Nessuno sembra preoccuparsene, perché
dovrei farlo io?
Verso le ore 22 i
veri atleti levano le tende e si ritirano in hotel, io invece mi trattengo per assaporare
ogni momento residuo di questa goliardica vigilia: parlo con Francesco, M45 che
ha da poco corso l’ondulato tracciato della mezzaratona del Lago di Vico alla ottima
media di 3’59/km e che per me è un esempio di determinazione e grinta, oltre
che di gentilezza.
A colloquio dopo cena con il Maestro Francesco |
Si chiacchiera
con i fratelli Fabio e Giampiero, che ancora se la ridono per la luculliana
cena e per il gelatone pre-pasto che mi sono concesso (loro sempre così
morigerati), scherzo con Daniele, che mi sembra sereno e tranquillissimo,
Raffaele e Andrea.
Siamo una bella
combriccola, essere giunti qui senza infortuni ed in sostanziale salute è già
una gran bella vittoria. Devo ricordarmelo il giorno successivo, chilometro
dopo chilometro: sono fortunato, ho la possibilità di realizzare una mia
passione e di divertirmi, posso correre e in sostanza dare concretamente un
senso tangibile a tanti allenamenti e a tanta attesa.
Poco prima della
mezzanotte mi faccio una rapida doccia, sono ancora sveglio e metto
diligentemente la pomata anti-infiammatoria sulla pianta del piede, applicando
un bendaggio particolare consigliatomi dal fisioterapista.
Dormirò poco più
di 6 ore anche questa notte, come le tre precedenti del resto, per me troppo
poco. Eppure, quando spengo la luce, per la prima volta in vita mia la vigilia di
una gara vola via liscia e senza agitazione, quasi fossi piombato in un
improvviso stato di calma e di equilibrio. L’agitazione pazzesca delle ultime
settimane, come d’incanto, proprio l’ultima notte prima del grande giorno mi concede
una tregua insperata.
Mezzanotte e
qualche minuto, gli occhi si chiudono, la mente è sgombra, la quiete mi
circonda. Buonanotte aspirante maratoneta...buonanotte.
Il giorno della verità
Sveglia alle
6.05, come un grillo mi alzo e vado a fare colazione, alla sala mensa trovo già un manipolo
di podisti, italiani e stranieri, pimpanti e in clima pre-gara, alcuni scesi in
tenuta da gara, altri in tuta sociale, dei francesi in ciabatte.
La maglia è pronta...ed io? |
Tutti mangiano di
gusto, vedo Raffaele e al tavolo con lui faccio una colazione a base di pane,
marmellata, caffè, tozzetti, yogurt e prosciutto (cotto). L’emozione mi
accompagna dolcemente nei rituali gesti e nei comportamenti che caratterizzano
da sempre le ultime ore prima della partenza. Con Raffaele decido di fare un
sopralluogo in zona start: usciamo,
fuori è molto umido, il cielo è ancora stellato ma sereno, fa freddo, ci sono
misteriosi podisti che si riscaldano, scattiamo qualche foto...fra tre ore quel
tratto di Lungarno sarà inondato da oltre 9000 podisti e, fra di loro, ci
sarò anche io.
Zona start, poco dopo le 6 del mattino, emozioni e brividi |
Brividi...non
solo e non tanto per il freddo stavolta.
Rientro in hotel,
incontro Daniele e, successivamente, Cinzia e Giampiero, che se la prendono con
maggiore calma. Eroi i podisti che riescono a fare colazione poco più di due
ore prima della gara. Siamo tutti apparentemente e grottescamente rilassati,
emozionati forse ma non travolti dalla paura: evidentemente la costruzione del
maratoneta, se e quando seguito da un grande coach come nel mio caso, dà
sicurezze e rende fiduciosi anche i più emozionati dei debuttanti.
Alle 8.15 ci si dà
appuntamento per uno scatto ricordo, oggi abbiamo ben due fotografi a seguirci:
Fabio, il nostro atleta di diamante, purtroppo fermo ai box per un problema al
ginocchio e Cinzia che, dall’alto della sua reflex, farà foto memorabili prima,
durante e dopo la corsa, posizionandosi strategicamente intorno ai km 20 e 35
di gara. Fabio, dal canto suo, ci immortala poco prima del passaggio alla mezza
e al km 41.
Foto pre-gara con Raffaele, Daniele e Giampiero |
Preghiera o stretching? |
Massima concentrazione |
Verso la griglia di partenza: eyes of tiger! |
Ripenso all’ultimo
messaggio del coach, che peraltro qualche ora prima aveva stoicamente
partecipato ad una massacrante gara podistica di montagna in Nigeria: “In bocca
al lupo e goditi la corsa; prendi qualche buona scia e riparati dal vento se c’è”.
Sintetico, incoraggiante, asciutto.
Ad un’ora dallo
start il sole scalda noi tutti, moltissimi podisti ormai affollano la zona
griglie in attesa dell’apertura dei cancelli per accedere sul rettilineo di
partenza. Io indosso ciclisti, guanti Saucony e la più leggera delle mie maglie
tecniche Odlo. Ai piedi, scelta fondamentale, indosso le scarpe Scott vinte la
scorsa primavera alla gara Run Eton 10k ed un paio di calzini Balega hidden
comfort: le Scott sono state provate quasi per gioco durante la preparazione e
ne ho immediatamente apprezzato la leggerezza, la comodità ed un buon livello di
protezione. Mi hanno accompagnato con successo nei lunghissimi, si sono
meritate la promozione a scarpe ufficiali per questo emozionante debutto.
Seguo il
consiglio del coach e mi porto dietro una felpa vecchia, da indossare nei circa
45 minuti di attesa in griglia prima dello start e da gettare a terra una volta
partito.
La mia griglia è quella
degli atleti con tempo di accredito fra le 2h30 e le 3h00: già
accettare questo per me ha rappresentato un atto di fede non indifferente. In
fondo, trattandosi della mia prima volta, chi può dire che sono degno del
pettorale concesso agli “under 180 minuti”? La risposta a questa domanda è
sempre la stessa: il coach, la sua competenza podistica, forse anche il suo
ottimismo ma soprattutto il suo leggere razionalmente i segnali che gli mandavo
nel corso dell’anno, allenamento dopo allenamento.
Mi reco con il
resto delle aquile podiste all’interno della mia griglia, sono fra i primi ad
entrare, mancano ancora 50 minuti alla partenza, ma voglio essere lì e non
perdermi un solo attimo di questa atmosfera.
Provo a scaldarmi
nello spazio recintato concesso agli under 180’, ma dopo poco l’affollamento mi
impedisce anche solo di camminare e, baciato dal sole, resto in piedi un’altra
mezzora, fermo, immobile, ad osservare gli altri atleti, a guardare il cielo
azzurro, a godermi il tepore di una splendida giornata senza vento (per ora), a
respirare ogni attimo immaginato tante volte e finalmente divenuto realtà viva
e pulsante intorno a me. Firenze è splendida, sono fortunato.
Ad un certo punto
mi sento chiamare e vedo accanto a me spuntare Stefano: era nella griglia
successiva ma è riuscito a “infiltrarsi” nella mia, quindi lo stesso tandem
mangereccio della sera precedente da Zio Gigi si riunisce: era destino, era giusto
così...gli auspici sono favorevoli, l’agnello sia sacrificato!
Pochi istanti
prima della partenza lo speaker chiede il silenzio assoluto in memoria delle
vittime della tragica alluvione che ha falcidiato la Sardegna: un momento che,
al di là della retorica e delle frasi di circostanza, commuove tutti e viene
onorato da un minuto di raccoglimento non profanato neanche dal minimo rumore,
brusio o schiamazzo: oltre diecimila persone, se includiamo pubblico e addetti
ai lavori, rispettano un religioso, civilissimo e disciplinatissimo silenzio.
Una scena toccante.
Al termine di questa
parentesi emotiva, qualcosa sembra pervadermi: inizio a sentire un groppo in
gola incontrollabile, se non fossi circondato da podisti una lacrima mi
sorprenderebbe, cosa sta succedendo?
Semplice: come una valanga
che si stacca dal pendio alpino, sto sentendo arrivare l’importanza
dell’avvenimento storico, forse mi sto rendendo conto per la prima volta che
sto per iniziare la mia prima maratona, il cui esito può essere l’inizio della
gloria imperitura o il tracollo nel baratro degli abissi infernali.
Come messo al cospetto di film,
rivedo una pellicola in bianco e nero ed osservo quasi con una stretta al cuore
quel semplice jogger di tre anni prima, giunto in Inghiterra in una gelida
giornata di gennaio. Quante cose sono cambiate nella mia vita negli ultimi
anni, eppure sono qui, cazzuto e motivatissimo a rincorrere un altro dei miei
obiettivi o sogni che dir si voglia.
Poi, molto più
prosaicamente, penso alla stessa persona che, nel giro di due anni, riusciva a
tenere testa all’inarrivabile fratello-coach e a correre ai suoi stessi livelli
sulla distanza dei 10 km e della mezza. Mi sento a posto con me stesso,
piacevole sensazione che non sempre accompagna le mie giornate.
Penso al primissimo
allenamento “serio” assegnatomi dallo stesso coach il 19 gennaio 2012 (“CORSA:
20’ riscaldamento + stretching + 4 x 100mt con rec. 45'' da fermo o di passo.
SALITE: in leggera pendenza max 5% 2 X 6
X 300mt rec.: tra le prove 50mt al passo + 150mt souplesse + 50mt al passo.
Recupero tra le 2 serie 5’ 00” ( ½ souplesse ). 10’ defaticamento”).
Conservo con precisione certosina la
memoria storica di ogni sessione di allenamento svolta da allora, sempre da
solo, in una terra straniera e climaticamente spesso insidiosa.
All’inizio di questo 2013 non osavo
neanche sognare di correre una maratona: oggi mi trovo ai nastri di partenza a
Firenze solo per affrontare questi gloriosi 42195 metri.
Penso agli allenamenti massacranti che mi
hanno portato qui, penso alle unghie dei piedi ormai distrutte, penso a quante
incognite mi hanno accompagnato negli ultimi mesi, a quante volte mi sono
chiesto se sarei arrivato in condizioni decenti a questo appuntamento, penso a
quanto sarebbe bello non deludere il coach e le sue aspettative.
Dopo tutto questo tempo di attesa, il
piede destro inizia a fare male, ma non posso certamente piangermi addosso, non
può vincere lui senza darmi almeno la possibilità di lottare.
Conto
alla roverscia: 10,9,8,7,6,5,4,3,2,1...SI PARTE!!!
Non ho il cardiofrequenzimetro, ma il
battito cardiaco nei primi 300 metri di gara deve avere toccato il massimo
degli ultimi anni per l’emozione e per la consapevolezza vivere l’esame più
difficile della mia carriera podistica.
Vi riprendo il prossimo anno, che vi credete? Alla fine il vincitore sarà l'ucraino |
Scene da campo di battaglia, in realtà è la zona partenza un attimo dopo che il fiume di atleti è passato |
Vengo immediatamente sopraffatto e
superato dai soliti podisti che sgomitano quasi fossero all’ultimo giro di
pista in una finale olimpica sui 10.000: perdo subito di
vista Stefano, che si dilegua davanti a me insieme a Raffaele. Più che all’orologio,
presto attenzione alla condizione del piede, sento che fa male ma non sembra
lanciare segnali preoccupanti, bene così, avanti verso la meta.
Il primo chilometro passa “zig-zagando”
fra la marea umana di podisti: il pubblico ci incita a gran voce fin
dall’inizio, posso rilassarmi, primo parziale 4’17, benissimo!
Coraggio Brontorunner, keep calm and
marath-on, come recita il testo su una maglia fantastica che mi ha regalato
(santa) Cinzia proprio in occasione di questa gara.
I ricordi sui
vari passaggi del tracciato risultano fin da subito sbiaditi, tali e tante
erano l’attenzione e la concentrazione spese sulla mia condotta di gara.
Affianco e
riprendo Stefano intorno al settimo chilometro e lo invito (parlavo a lui ma in
realtà mi rivolgevo a me stesso) a mantenere un ritmo costante senza strappi e
senza cedere a letali tentazioni di allungare. Constato subito che, da bravo e
serio atleta quale è, parla poco durante la gara mentre io sono affetto dalla
sindrome del coach, noto e molesto chiacchierone in corsa.
La cosa che mi
impressiona è la quantita’ di podisti intorno a me: abituato a gare inglesi con
200-300 anime, mi ritrovo circondato da 10.000 corridori e per tutto il
tracciato di gara avrò sempre un gruppetto di riferimento da puntare, una lepre
a qualche metro. E’ l’ideale, insieme al sostegno del pubblico, per affrontare
psicologicamente una faticaccia lunga oltre 42 km.
Il vento inizia a
farsi sentire, non è di certo ancora fastidioso ma conferma la bontà della mia
scelta di correre con la maglia a maniche lunghe.
Pur non
consultando mai sul Garmin il tempo totale, ma solamente il ritmo chilometrico,
ad un’analisi ex post scoprirò di essere passato ai 5 km in 21’08 (20’59 real
time) quindi a 4’13. E’ il ritmo dei miei lunghissimi in allenamento, va benone,
sono un orologio svizzero.
Corro con
Stefano. Per lui che mira a chiudere appena sotto le 3h è un ottimo passo, per
me che temo ogni possibile funesto scenario dopo il famigerato trentesimo chilometro
è un eccellente incedere.
Sto bene, il
dolore al piede destro si fa sentire per gran parte del percorso all’interno
del Parco delle Cascine, fra il km 4 e 15, ma non impedisce la corretta
meccanica di corsa.
Non ho il minimo
affanno, al passaggio dei 10 km leggo sullo schermo 42’02 (real: 41’53), sto
viaggiando a 4’12, in perfetta linea con l’obiettivo di un passaggio alla mezza
fra 1h28’30 e 1h29’00. Bene così.
Dopo 15 km mi
ricordo di avere con me 3 gel integratori. Non sono abituato a rifornirmi in
gara ma ho dovuto esercitarmi e cimentarmi in allenamento anche in questo campo.
Decido di bere dal bicchiere sali minerali al km 15 (1h02’45), il terzo
parziale dei 5 km è chiuso in 20’53, leggera progressione sulla media chilometrica,
sto andando a 4’11. Benissimo. Ricordo le parole pronunciate dal coach oltre un
anno fa (“tu sei un regolarista nato”), danno la carica soprattutto quando si
devono affrontare le lunghissime distanze: grande coach che mi ha insegnato ad
essere regolarista anche sul campo e non solamente sulla carta.
Stefano, in un
rarissimo momento di loquacità, mi invita a pensare all’obiettivo successivo:
il passaggio alla mezzamaratona. Come nel mio caso, parla a me ma si sta
rivolgendo soprattutto a se stesso. Psicologia podistica applicata.
Lasciamo il
suggestivo polmone verde delle Cascine, lì dove mio padre e un fratello hanno trascorso
nel passato mesi di addestramento militare, luogo tante volte descrittomi dal
coach come ideale proprio per allenarsi, tempio dei tapascioni fiorentini.
Procedo con ritmo
costante e senza affanno, il dolore al piede non si sente, non devo fare pipì né
altro, sto bene e poco prima del ventesimo chilometro mangio il gel SIS al
gusto di mela, già sperimentato con successo in Inghilterra: fila liscio e non
dà effetti collaterali all’intestino neanche questa volta. Bene.
Non ricordo a che altezza sono qui, ma ancora rido! |
Passaggio alla
mezza in 1h28’22’’, a conferma della eccellente regolarità del ritmo (4’11/km)
e della accurata precisione rispetto al programma di battaglia concordato a
tavolino con il coach.
Stefano è ancora
con me, io da circa 20 km sto puntando Giovanni - atleta della squadra laziale Lital
- che alla Trenta chilometri del Mare di Ostia era giunto al traguardo qualche
istante prima di me: è quasi un segno del destino ritrovarmelo a una decina di
metri fin dalle prime battute di questa maratona. Per me diventerà la lepre da
seguire per il resto della gara e sarà proprio il suo incedere regolare a farmi
mantenere un ritmo costante fino al km 35.
Al km 25 bevo
nuovamente acqua e sento Stefano chiamarmi alle mie spalle per chiedermi di
passargli la bottiglia: ottima strategia di squadra, gesto immortalato dai
filmati video su TDS.
Verso il 27
Stefano mi dice di avere perso i gel e di trovarsi a secco. Non esito un
istante e gli cedo il mio: posso fare tranquillamente senza, due mi bastano e
avanzano, effettuo lo scambio e sento di poter iniziare una graduale
progressione.
La sommaria
strategia pre-gara, concordata fra uno spaghetto al ragù e le patate il forno,
prevedeva di fare corsa insieme fino al trentesimo, salvo poi andare ognuno al
proprio ritmo, lasciare andare le gambe e vedere chi ne aveva ancora. Questa
volta è toccata a me la buona sorte di essere in condizione di poter
accelerare: al trentesimo la media chilometrica è sempre di 4’11 (2h05’43),
regolarità massima e controllo maniacale, benissimo così. Penso, forse
sbagliando, che mancano solo 12 km alla fine, la distanza che percorro in un
semplice e rilassante fondo lento, una cinquantina di minuti, nulla di nulla. Mi
sembra impossibile che qualcosa possa andare storto...oggi non può succedere
nulla.
Sono incosciente,
penso ma non cedo al temutissimo muro contro il quale si schiantano decine di
maratoneti fra il trentesimo ed il trentacinquesimo chilometro. Ho rispetto per
la signora maratona, ma non abbasso il capo al suo cospetto.
Sento che le
gambe stanno bene come ai primissimi chilometri, con in più l’emozione immensa
dei passaggi nel centro storico, con decine e decine di persone dietro le
transenne ad incitare i podisti, trasmettendo una carica indescrivibile. Dal
cuore un encomio solenne ai tantissimi volontari sparsi lungo il tracciato:
davvero grazie per quanto avete fatto, siete stati fantastici.
Al
trentacinquesimo (2h26’27) sono solo: la mia lepre della Lital è stata superata
ormai, Stefano è dietro di un minuto, il mio ritmo è in graduale aumento,
controllato ma costante.
Mi sento chiamare
dal pubblico e vedo Cinzia che, telefono da una parte e reflex dall’altra, mi
saluta e fotografa: le avevo detto che le condizioni all’altezza del km 35
sarebbero state indicative e decisive per capire il mio stato di forma e la mia
possibilità o meno di giungere al traguardo. Le sorrido, faccio lo scemo, sono
scioltissimo, tutti segnali inequivocabili che dicono che sto benone e che alla
meta arriverò, caspita se arriverò...
Poco oltre il km 35... |
...rido perché so di avercela fatta |
Negli ultimi
sette chilometri succedono le cose più strane: un bambino a bordo strada, per
sbaglio, fa scivolare un pallone sul tracciato di gara e, prima ancora che il
papà abbia il tempo di sgridarlo, mi scompongo, lascio la traiettoria di corsa,
allungo il passo pericolosamente e con un tocco morbido di piattone alla
“Lionel Messi del Lungarno” gli restituisco la sfera, ricevendo in cambio
ringraziamenti dal papà del piccolo e un applauso rumoroso dal pubblico lungo
il bordo della strada, sicuramente non abituato a vedere un podista distrarsi
in quel modo a pochi chilometri dal termine di una maratona. Ero semplicemente
felice, sapevo di essere in condizione e sapevo che avrei portato a termine la
mia gara al meglio. Non ditelo al coach, mi redarguirebbe senza esitazione.
Altra macabra
successione di eventi cui assisto per tutti gli ultimi 7-10 km di gara: ai miei
occhi si presentano decine e decine di atleti zompie. Li vedo arrancare,
camminare, fermarsi, piegarsi, imprecare, zoppicare, uno che piegato in avanti
cerca di vomitare mettendosi due dita in gola.
Passo al km 40 in 2h46'54 (ma non lo so durante la gara perché mi ostino a non consultare il Garmin al polso), vado a 4'10/km
E’ il monito più
forte che la signora maratona mi invia, quasi a ricordarmi di pagarle sempre il
tributo più deferente, dal primo all’ultimo metro di gara: la signora pretende
che si conduca una cors esattamente in linea con il proprio stato di forma, che
peraltro si scopre solo nei mesi precedenti, allenamento dopo allenamento. La
signora, come la grande consolatrice vestita di nera, si reincarna in quegli
zombie crollati mestamente e mi ricorda che ogni partenza nei primi 20-25 km
troppo forte si paga senza appello e senza pietà.
Davanti a me vedo
resti umani contorcersi dal dolore, smorfie di sofferenza in corpi piantati al
suolo come querce secolari.
Esempio di crollo sulla destra e di atleta freschissimo sulla sinistra. Al km 35 era 2 minuti davanti a me, al km 41 (nella foto) lo affianco, al traguardo arriverà dietro di 40''. |
In quel momento
ho benedetto il coach ed i suoi instancabili moniti a rispettare sempre il
ritmo gara concordato, il ritmo delle ripetute o dei lunghissimi in
allenamento. La maratona si costruisce tutta lì.
Il parziale dal
km 30 al 35 dice 20’44, dal km 35 al km 40 chiudo in 20’26: parliamo di
progressione qui, si mormora anche di “split negative”: lo dico ora, era l'ultimo dei miei pensieri durante la corsa.
Passo il tempo ad
ammirare questa fantastica e soleggiata città, dal km 38 mi prende un groppo in
gola che non pensavo neanche di poter avere in pieno sforzo agonistico: mi
commuovo apertamente, mi godo ogni singolo istante e passo di questo finale, la
folla dietro le transenne mi incita, l’adrenalina mi farebbe chiudere questi
ultimi chilometri a 3’40 se volessi, ma mi godo il viaggio al trotto e al ritmo
che il coach ha suggerito. Emozione e razionalità, mix esplosivo, mix vincente.
Le gambe
potrebbero correre altri 10 chilometri, non sento la minima stanchezza, non
l’ho mai accusata neanche per un solo istante, forse è la corsa che mi vede
giungere al termine con il maggiore grado di freschezza e brillantezza.
Incredibile, proprio lei, proprio la signora maratona mi riserva questo
trattamento regale, proprio lei che miete decine e decine di vittime adesso mi
bacia e avvolge nel suo abbraccio.
Al km 41 vedo il
grande Fabio appostato al lato del percorso con tanto di macchina fotografica:
ovviamente non mi faccio mancare l’occasione di salutarlo calorosamente e con i
soliti gesti del buffone. Penso all’ingiustizia dell’infortunio che tiene il
nostro atleta di punta fermo ai box, ma so quanto è motivato e quindi so bene
che la prossima volta sarà lui a fare grandi, anzi grandissime cose.
Manca un
chilometro, torna il groppo in gola, sono commosso, respiro ogni singolo
istante di questa meravigliosa gara, quasi a centellinare anche l’ossigeno fiorentino
imprigionato, come un trofeo di guerra, nello spazio che mi separa dal mondo
dei runner a quello dei maratoneti.
Quando imbocco il
Lungarno del Tempio, subito oltre il mio hotel, a circa 500 metri dal
traguardo, un tizio dell’organizzazione a bordo di una mountain bike mi
affianca e pronuncia le parole che mi porterò dietro a lungo con un brivido
indicibile di emozione: “coraggio, sei entro le 2h55’”...COSAAAAAAAAAAA?
Io che neanche
sognavo di concludere una maratona, io che maledicevo il coach che pronosticava
da settimane un under 3 ore, io che fino a pochi giorni prima ho rischiato di
non poter neanche prendere parte alla gara, io che sono un aspirante
brontorunner...ebbene adesso sto per demolire la di 5 primi la barriera dei 180
minuti al mio esordio, senza il minimo dolore, senza affanno e senza alcuna
fatica percepita?
Le lacrime
stavolta scendono davvero, per fortuna nessuno mi vede in quel momento, quindi
decido di camuffare le emozioni sparandomi gli ultimi 650 metri al ritmo di
3’47/km...
No, non sono io
quello che svolta a destra e punta dritto verso piazza Santa Croce, sto
sognando, quei due piedi -mai tanto agili come oggi, quei piedi che calcano il
tappeto blu steso a terra negli ultimi 50 metri di gara- non sono i miei.
Ringrazio il
pubblico, che non cessa di incitarmi, con un sorriso lungo almeno tutti gli
ultimi 150 metri di gara. Non sono io, no, non sono io quello che taglia il
traguardo sotto al tabellone cronometrico che dice 2h55’44 (real time:
2h55’35!!!!). Non scuotetemi, vi prego, ancora qualche minuto di gioia, poi
suona la sveglia, faccio colazione e vado a lavorare: non è realtà questa...
Un certificato dal valore inestinabile |
Oggi ho vinto la
mia prima maratona, oggi come mai mi era accaduto prima sono fiero dello
sportivo che è in me, oggi mi sento il podista più felice sulla faccia della
terra.
Anche in ufficio mi porto il ricordo fiorentino |
Concetti all’apparenza
banali e frasi da retorica di quart’ordine per chi non si è mai infilato
calzoncini, scarpe e non ha mai deciso di faticare, sudare, confrontarsi e
migliorarsi sotto il segno della corsa. Per me si tratta di pura verità.
Senza neanche il
fiatone, mi rifocillo con acqua, sali, banane, dolci, succhi di frutta e, senza
scherzare, assicuro a chi mi consegna la medaglia-ricordo che si tratta di un
oro olimpico e che non me la toglierò dal collo per almeno due giorni...cosa
che in effetti è avvenuta!!!
Una medaglia olimpica varrebbe meno |
Orgogliosamente medagliato |
Come sempre le
previsioni del coach, viste da me come insensate alla vigilia, si sono rivelate
meravigliosa e fantastica realtà: la fascite non mi ha creato problemi ed ho
corso alla media finale di 4’09/km.
Quello che
davvero mi ha sbalordito di questo esordio è stata la facilità di
corsa per tutto il tracciato, il non andare mai in affanno, il riuscire a
correre dallo start al traguardo senza il minimo dolore, senza la minima
pesantezza di gambe, senza fiatone. Leggendo qualche mese fa il “Manuale completo
della corsa” di Roberto Albanesi, l’autore invitava i debuttanti in maratona ad
allenarsi per giungere al grande giorno, gareggiare, superarare la linea del
traguardo e dire: “tutto qui lo sforzo?Io sto ancora bene”. E’ stato un
privilegio poter finire esattamente secondo questo scenario, grazie al coach ed
ai suoi programmi di allenamento: io ci ho messo solo le gambe ed una
sostanziale disciplina.
In sintesi,
definirei questa mia prima maratona come un puro, autentico e strepitoso
divertimento, una gioia, un piacere da assaporare per quasi tre ore, un nettare
squisito assaporato dal primo all’ultimo momento.
Il resto della
truppa non può che coronare questa splendida giornata con prestazioni
di assoluto livello: Stefano chiude la sua gara di qualche secondo sotto le 3
ore (2h59’47), per lui obiettivo e PB centrati in un sol colpo!Daniele 3h08
(PB); Francesco 3h09 (PB); Andrea 3h29 (PB); Raffele 3h30 e Giampiero, grazie
ad un piano di allenamenti dettato dal mio stesso coach, 3h45 e demolizione di
quasi 15 minuti del PB!!!
I freddi dati
cronometrici confermano le sensazioni incoraggianti provate lungo il tracciato:
· Prima
metà di gara: 1h28’22 (chip time), seconda metà di gara: 1h27’22 (chip
time): questo significa “split negative”, il più bel segnale che potessi
mandare al coach, su un tracciato di certo veloce ma anche caratterizzato da
numerose curve nella seconda parte di gara, quindi teoricamente più
impegnativo.
· Al km
5 ero in 395ma posizione, al km 10 in 381ma, al km 15 in 372ma, al km 21 in 352ma,
al km 25 in 334ma, al km 30 in 304ma, al km 35 in 272ma, al km 40 in 231ma, al
traguardo sono in 203ma posizione. Significa che, nella sola seconda parte di
gara, la progressione è stata tale da permettermi di superare, in media,
7 atleti al chilometro. Un caterpillar!
· Giungo
all’arrivo prima di 9088 e dietro a 202 atleti. Non male come esordio!
A quasi una
settimana da questa splendida avventura fiorentina, il dolore alla fascite
plantare sembra migliorare, ho ripreso senza alcun problema a nuotare e a
pedalare in palestra, per prudenza forse mi asterrò dal correre fino a
domenica 8 dicembre, malgrado la voglia di riprendere quel lungo cammino che mi
dovrà condurre ai prossimi grandi obiettivi del 2014: la mezzamaratona più
partecipata d’Italia (Roma-Ostia) ad inizio marzo e la maratona di Berlino a
fine settembre.
La cosa più
difficile sarà confermare (e conservare) l’eccellente stato di
forma raggiunto con le unghie e con i denti a Firenze. Sarà dura confermarsi sul
litorale ostiense o sotto la Porta di Brandeburgo, ma la sfida e l’obiettivo
già rendono la fatica ed il sudore piacevolissimi.
Da qui ad allora
ho un lungo inverno inglese da affrontare, tanti allenamenti in condizioni non
sempre agevoli, viaggi e stancanti trasferte di lavoro, scadenze, scarse ore di
sonno, vita casalinga da tenere in ordine e gestire...
Come sempre la
vita del runner va calata nella realtà
quotidiana e richiede organizzazione mentale e forza di volontà, oltre alla
passione, il divertimento e la gioia di lasciare il calduccio di casa e
lanciarsi al freddo e al buio delle strade inglesi per l’allenamento
successivo.
A volte i sogni
si avverano e questa domenica di fine novembre, in una splendida e soleggiata
Firenze, la signora maratona ha deciso di accogliermi a braccia aperte e di
farmi sentire l’ospite più gradito e benvenuto al mondo.
Basta una gara,
una medaglia, un ricordo del genere a trasmettermi energie inaspettate e carica
sufficiente per affrontare con grinta contagiosa i prossimi obiettivi, le
prossime sfide, le delusioni che arriveranno ma anche la speranza di rivivere
simili emozioni.
W Firenze, W la
maratona, W l’aspirante brontorunner diventato maratoneta...almeno per un
giorno