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Tuesday 4 December 2012

10.000 novembrino - 25 novembre 2012 In pista si decolla!!


La corsa su pista chiamata “10.000 Novembrino”, giunta quest’anno alla quinta edizione, ha avuto come scenario il tempio del podismo amatoriale romano: la pista di atletica leggera “Paolo Rosi”.

Chi si nasconderà dietro quella medaglia?

Tale luogo, nei racconti che il coach da mesi mi fa e che tanto mi appassionano, racchiude una fauna di podisti di ogni specie, dai tapascioni incalliti, ai pensionati che non saltano un giorno, dagli atleti semi-professionisti alle giovani speranze. Ciò che mi affascina, quando ne sento parlare, è il clima quasi familiare che ivi si respira, vero e proprio foro romano dei corridori, che si ritrovano per un allenamento in compagnia, per fare due chiacchiere, per sfuggire al traffico ed alla vita sedentaria di città. Immagino il Paolo Rosi come un luogo mitico in cui i coach (come mio fratello) e gli aspiranti runner (come me) si ritrovano democraticamente a trascorrere qualche minuto di svago e di sano sport.

Io, il mitico Trabucco (classe 1948, re dei master) ed il coach. Di spalle, sulla sinistra, il forte Massimo, detto caschetto!

Se abitassi a Roma, frequenterei quel posto ogni singolo giorno e conoscerei tutti i nomi (ed i relativi PB) delle centinaia di aficionados che lo affollano. Come invidio chi può farci un salto regolarmente e vivere la corsa come evento sociale e aggregante, oltre che come fatica.

Premesse a parte, l’ipotesi dei 10 km in pista era stata avanzata dal coach qualche settimana prima in ottica e come “prova allenante” a due settimane dalla importantissima Best Woman di Fiumicino, prova su strada molto veloce che lo stesso coach intende correre alla morte e come “missione agonistica” per riprendersi quanto l’infortunio al polpaccio gli aveva tolto lo scorso anno proprio in quella manifestazione.

Da parte mia, questo 10.000 in pista giungeva a una settimana esatta dalla gara “10 km du 9ème”, corsa alla media di 3’44/km in una piovosissima Parigi, su un tracciato piuttosto ondulato e a conclusione di un week-end da turista nella capitale francese.

Ogni volta che torno in Italia, si sa, le emozioni e la gioia sono incontenibili: malgrado la sveglia alle 4.15 del mattino del sabato pre-gara, lascio Heathrow con la nebbia e la temperatura intorno allo zero per atterrare a Fiumicino con 15 gradi, vento assente ed un sole che mi hanno subito spinto ad indossare le semi nuove Ghost 4 per concedermi una mezzoretta a 4’17, conclusasi con 8 allunghi trionfali!
 
La domenica di gara il sole splende come non mai, la partenza della batteria mia, del coach e del nostro compagno di squadra Massimo (detto caschetto) è prevista intorno a mezzogiorno ma noi siamo al Paolo Rosi già alle 10.30. Ci godiamo lo spettacolo delle batterie precedenti, il coach saluta ed è salutato da tutto il gotha dei tapascioni di questo tempio podistico, si parla di strategia di gara e si concorda che Massimo tirerà i primi due km al ritmo di 3’41-3’42, io i secondi due km ed il coach i terzi. Fra il serio ed il faceto, si comincia un blando riscaldamento, con un sole che inizia a scaldare l’aria, mentre le batterie degli atleti precedenti giungono a conclusione e tutti sono felici di avere trascorso una giornata di sport e senza stress.
 
A poche centinaia di metri da lì, più precisamente a Villa Glori, una nutrita schiera di rappresentanti della Lazio Runners Team starà vincendo la coppa di squadra nella corsa Runaids, mentre a pochi chilometri di distanza la nostra punta di diamante Fabio, compagno illustre di trasferte internazionali (Amersfoort e Nottingham), si è già aggiudicato una gara nel suo quartiere di residenza (Trieste). Insomma, i segnali e le percezioni positive di certo non mancano.

A colpirmi particolarmente, rispetto alle gare inglesi, sono vari fattori: il bassissimo costo di iscrizione (3 euro), uno speaker che commenterà la corsa con precisione e con dovizia di particolari cronometrici e citazioni di PB dei vari soggetti impegnati in gara e, infine, la musica super gasante per tutta la durata della manifestazione.

La batteria del coach e del sottoscritto aspirante runner è formata da 17 atleti iscritti, tre dei quali vantano tempi mostruosi (33’-34’) mentre altri tre sembrano ben lontani dalle mie possibilità (35’-36’). Ad un primo incrocio fra le classifiche di categoria e lo storico delle precedenti edizioni, penso di poter puntare al massimo ad un terzo posto di categoria, più probabilmente quarto, mentre il coach ha solamente un atleta della sua categoria difficilmente battibile.
Per quanto mi riguarda, oggi come sempre, la gara si corre contro il cronometro e contro me stesso. Certo, alla vigilia il coach ha pronosticato un mio clamoroso 36’59, ma a me sembra fantascienza soprattutto considerando che, appena metto piede al Paolo Rosi, tutti i podisti più esperti non fanno che ripetermi che "in pista si va più piano rispetto al ritmo di un circuito pianeggiante su strada”.

Completati i riscaldamenti di rito, i giudici FIDAL ci fanno disporre sulla linea di partenza, io ed il coach siamo in seconda fila, lo start viene differito di qualche secondo a causa di un guasto alla pistola (iniziamo bene...), c’è un bel sole, molta umidità e 15-16 gradi almeno, al centro del campo di atletica i podisti delle batterie precedenti si fermano a guardare l’ultima batteria, quella degli atleti accreditati con un tempo under 38’.

Allo sparo la strategia di gara, tanto opportunamente pre-concordata fra me, il coach e Massimo, si va a fare benedire a causa della partenza a razzo di quest’ultimo, che in poche decine di secondi ci dà 20 metri di distacco, lasciando i due fratelli appaiati a fare gioco di squadra a metà gruppo, in un tandem che si rivelerà vincente.

Le gambe girano bene, cerco di applicare gli insegnamenti di un guru del podismo inglese, di cui sto leggendo un interessante libro, su come migliorare la tecnica di corsa. Sarà un caso, ma mi sembra di trovare un’ottima postura e resto francobollato alle calcagna del coach, all’interno di un gruppetto di 4-5 altri podisti. Decido di usare il manual lap del GPS al polso e constato che la prima metà di gara scivola liscia come l’olio grazie all’ottimo passo dettato dal coach (3’42, 3’41, 3’41, 3’40, 3’39).

Lo speaker, peraltro noto podista amatoriale di discreto livello, inizia a sottolineare e a commentare anche la prestazione dei “giovanissimi fratelli Massetti che fanno gioco di squadra” (sic!). Mi viene da sorridere e mi domando quanto lo avrà pagato il coach per essere citato nella categoria dei giovanissimi!!

Ai margini della pista compaiono nel frattempo figure mitiche e personaggi celestiali, su tutti il famosissimo coach Mimmo (olé), allenatore del fratello coach, che non disdegna di onorarmi di qualche consiglio sulla tecnica di corsa (per esempio mi incita nei primi km ad usare meglio la spinta con i gomiti). Al quinto chilometro avviene il miracolo del Paolo Rosi: con la coscienza sporca per non avere ancora fatto da “pace maker” e per non avere dato il cambio al coach, lo invito a farmi passare e mi allargo in seconda corsia per superarlo. Lui, da navigato tecnico podista, mi redarguisce seccamente dicendomi che non devo superarlo in quel modo ma attendere che sia lui a farmi spazio e a farmi passare in prima corsia.

Lo supero e da lì inizia un’altra gara: mi sembra di stare bene e le gambe girano che è un piacere. Il gruppetto dei 4-5 è alle spalle, il coach mi urla alle calcagna un messaggio esplosivo: ”vai avanti al tuo ritmo, stai bene e spacca tutto!”.

A quel punto, ringalluzzito dalle parole super-incoraggianti e a conferma di quanto spesso i valori obiettivi possano essere migliorati dalla psicologia e dallo stato mentale del momento, chiudo il sesto km a 3’32 e mi accodo ad uno degli atleti della mia categoria, che scoprirò poi essere uno di quelli i cui tempi di accredito sulla distanza dei 10km erano per me inavvicinabili ed impensabili alla vigilia.

Alla visione dell’arcangelo Gabriele (Mimmo coach olé) si aggiungono due tifosi d’eccezione, i grandissimi Fabio e Giampiero, i quali hanno concluso la loro gara di quartiere e sono giunti al Paolo Rosi per incitare i fratelli loro compagni squadra. Constato purtroppo che Massimo si è ritirato e sta chiacchierando con altri amici podisti al centro dello stadio.

Chiudo il settimo km a 3’35 e l’ottavo a 3’41: a detta di Fabio, a rallentare il ritmo sarebbe stato il famigerato atleta della mia stessa categoria, in vistoso calo, che ho ripreso senza superare immediatamente. In questa fase di gara, peraltro, vengo anche superato da un trio di gazelle, che altro non sono che i primi 3 assoluti, i quali hanno appena certificato con il doppiaggio di avermi distaccato di quattrocento metri.
Gli ultimi due chilometri procedono ad un ritmo regolare, in buona progressione e senza alcun dolore strano, dimentico di “lappare al nono” e chiuderò gli ultimi due parziali in 7’08 (media di 3’34).

Incredibilmente, storicamente, pazzescamente, il cronometro finale dirà 36’26’’ (ufficiali 36’28), il che significa demolizione del precedente PB sui 10 km e corsa ad una per me stratosferica ed inimmaginabile media di 3’38/km.

Quinto assoluto e primo di categoria!!!!!

Primo di categoria: il secondo non si è presentato, avrà rosicato??

Ciò che fa storia e che secondo me difficilmente si ripeterà è che per la prima volta sono arrivato al traguardo prima del coach, il quale ha pur sempre fatto registrare il suo PB (36’42) sui 10 km ed affronterà la Best Woman del 9 dicembre con ancora maggiore cattiveria e rabbia, sapendo che il fiato sul collo dell’aspirante brontorunner potrebbe un giorno tornare a farsi sentire!

Nella valigia del viaggio di ritorno in Inghilterra, oltre a un po’di extrasistole da stress/emozione per questo fine settimana, mi porto il ricordo di una mattinata di sole novembrino caldo ed accogliente, vissuto fra personaggi di ogni età, estrazione sociale, culturale e sportiva, così diversi fra di loro ma anche così incredibilmente uniti fra una battuta, uno sfottò o un appuntamento al giorno successivo per “il solito allenamento di scarico del lunedì” o semplicemente “per la solita corsetta insieme”. Dove? Ovviamente al Paolo Rosi...

Viva tutti i runners del mondo, su fango, strada o pista che sia...

Nuove arrivate - Brooks Ghost 4



Dopo 800 km di onorato servizio, ho mandato in pensione le fantastiche Wave Rider 15 della Mizuno ed il 7 novembre ho iniziato ad allenarmi con un paio di Brooks Ghost 4 (misura UK 10.5)!
 
Al momento le trovo comode e solide...

Tuesday 13 November 2012

MoRun 5km - 11 novembre 2012 ...Battersea per il podio


Le favolose avventure di Brontorunner questa volta hanno come scenario il parco londinese di Battersea, circa ottanta ettari di meraviglioso polmone verde in piena città, sulla sponda del Tamigi opposta al quartiere Chelsea.

Percorso circolare da ripetere due volte

Il parco, inaugurato a metà Ottocento, un tempo ospitava una sorta di pedana sui cui si disputavano i duelli a fuoco fra nobili; oggi  è un paradiso per gli sportivi londinesi, visti i suoi larghi e pianeggianti viali, 16 campi da tennis, una palestra, una pista di atletica, dei laghetti artificiali per il canottaggio e svariati prati adibiti a campi di calcio e di rugby. Proprio a Battersea, nel lontano 1864, si disputò la prima partita nella storia della English Football Association.

Digressioni storiche a parte e tornando alla cruda cronaca podistica, va detto che la mia partecipazione a questa gara è stata decisa a tavolino ed in “zona Cesarini” dal fratello-coach, che mi ha “caldamente invitato” ad iscrivermi per provare il mio stato di forma su una distanza, quella dei 5 km, per me assolutamente inedita e mai affrontata in gara. Il coach si esalta in queste corse brevi, io mi stresso, ma ho accettato “il consiglio” e mi sono iscritto.
Le mie già vistose riserve hanno infine preso dimensioni di “ansia da prestazione” quando lo stesso coach, alla vigilia, ha pronosticato un clamoroso risultato cronometrico di 17’59’’.

Il giorno della gara mi sveglio alle 6.10 e decido di arrivare sul posto con un largo anticipo (quasi un’ora e mezzo prima dello start) per effettuare un giro di ricognizione e, soprattutto, per fare fronte con un lungo riscaldamento alla rigida temperatura (intorno allo zero) che nella notte ha ghiacciato il vetro della macchina.

Seppur ubicato in un quartiere non certo di lusso, una volta varcato il cancello del Battersea Park, mi sono trovato in uno splendido luogo, tenuto benissimo, fra viali alberati e prati tipici inglesi perfetti. Il sole limpido di una rigida domenica mattina ha senz’altro contribuito a rendere lo scenario ancora più affascinante. Non tira vento, non c’è fango per terra: sogno o son desto?

Una sezione del tracciato di gara

All'altezza del km 1.7

Uno scenario fantastico di prima mattina
 

Giunto nella zona partenza, noto un palco circolare -da cui poco prima di partire un DJ scimmione tenterà di animare e motivare i podisti a ritmo di musiche hip-hop e balli strani- vari gazebi per massaggi e deposito borse, molti volontari ed un numero crescente di podisti, maschi e femmine, con baffi finti (spesso disegnati) per ricordare che i proventi di questa gara saranno devoluti per la ricerca scientifica contro il tumore alla prostata ed ai testicoli. Il nome stesso della gara, Mo-Run, si ispira alla parola “baffo” (moustache) oltre a richiamare il nome del campione inglese Mo Farah, vincitore dei 5.000 e dei 10.000 mt alle Olimpiadi londinesi da qualche mese conclusesi.

Per riscaldamento decido di percorrere il tracciato di gara, un veloce circuito da 2.5 km da ripetere due volte, all’apparenza pianeggiante e caratterizzato da larghi viali alberati e larghe curve. Unici “punti deboli” si riveleranno un tratto di qualche centinaia di metri in contropendenza ed un’inversione a “U”, con i soliti birilli a terra.

Tratto di inversione a U con curva verso destra in prossimità dei birilli...
...seguito dal rettinileone finale, con arco di arrivo visibile all'orizzonte

Dato che fa freddo, il mio riscaldamento sarà di ben 5.6 km, ovvero due giri di gara più seicento metri di allunghi e ripetute. Non male, io che di solito mi presento piuttosto freddo alla partenza.
A un quarto d’ora dallo start, lo speaker chiama “coloro che hanno ambizioni di vittoria” a collocarsi nelle prime file . Io, come sempre, mi guardo bene dal farmi avanti fino a quando, nel vedere una decina di improbabili figuri avanzare baldanzosamente, rompo gli indugi e decido di fare lo spaccone, mettendomi addirittura in prima fila!

Il sole bacia i belli...

...e soprattutto i brutti
Nel frattempo il DJ scimmione inizia a mettere musica improbabile e inizia il riscaldamento animato e collettivo. I podisti seri si vedono subito perché danno le spalle al podio del DJ e si concentrano solo sulla gara.  Io, che ovviamente non appartengo a questa categoria, mi sono invece goduto lo “spettacolo” e non ho disdegnato qualche timidissimo tentativo di andatura/stretching a ritmo di musica...giusto per scaldarmi e per stare al gioco. 

Lo start arriva puntuale alle 10.00 e vedo subito partire davanti a me quattro atleti che avevano tutte le fattezze/movenze/sembianze dei “podisti seri” e che infatti nel warm-up non avevano degnato il palco del DJ neanche di uno sguardo.

Zona partenza, ancora semi deserta a un'ora e mezzo dallo start


Mi attesto al quinto posto, cercando di seguire i consigli del coach (“fai il primo km a 3’30, il secondo attestandoti a 3’40 e poi vedi come ti senti...”). Mi godo questi vialoni alberati e in men che non si dica il primo km si chiude a 3’31, come da disposizioni del coach.

L’aria è fredda ma non tira vento, il tracciato è pianeggiante, si corre che è un piacere. Intanto, il quarto atleta inizia a rallentare e, da paziente avvoltoio, lo supero di slancio al km 1.5. Davanti vedo la coppia di testa, un giovanotto danese ed un inglese con ai piedi le super tecnologiche scarpe Newton. Entrambi fanno e faranno fino all'ultimo gara a parte.

Sono a meno di cento metri di distanza da me ma vanno ad un ritmo che non intendo minimamente imitare. Il terzo podista, tanto per cambiare un roscio (sono il mio tormento), è a una cinquantina di metri da me e sembra andare senza problemi. Sono quarto, ottimo piazzamento penso per qualche minuto. Mi accontento? Boh, non ci penso e vado avanti.

Affronto la contropendenza e a arrivo al km 2, che chiudo a 3’36. Sto bene, buon ritmo e zero fiatone, affronto la curva a “U” prima di immettermi nel bel rettilineo finale di 3-400 metri con vista dell’arco di arrivo in lontananza. Transito davanti alla zona partenza, tanto pubblico e tanto tifo mi spronano a fare bene, chiudo il km 3 tenendo il ritmo e, malgrado il rallentamento dell’inversione di marcia, faccio registrare un 3’37 più che soddisfacente.

Il terzo atleta mi sembra più vicino, a non più di trenta metri adesso, si può osare, mi gaso e nel giro di ottocento metri, lo affianco dicendogli di tenere duro (ma perché non sto zitto?) con finta sporitività, salvo poi infilarlo e superarlo appena prima di affrontare i birilli nel tratto di gara più lento, la famigerata curvona a U. Quarto km a 3’35.

Da lì è iniziata un’altra gara, su un altro pianeta, forse in un’altra era.
Penso di essere entrato in uno stato catalettico di trance agonistica, con i sogni di gloria che tutto d’un tratto diventano realtà: per la prima volta nella mia carriera podistica, mi trovo a circa 300 metri dalla fine e sono virtualmente sul podio!!! Il roscio sembra starmi dietro, ma ha il fiatone ed io inizio a mulinellare le gambe nel rettilineone finale, quello con vista sull’arco dell’arrivo, lasciandogli zero speranze e tenendomelo impietosamente alle spalle fino alla linea del traguardo, per sempre, in una progressione che mi vedrà correre l’ultimo km (al gps gli ultimi 900 mt) a 3’25.

La seconda metà del rettilineone finale, con arrivo sotto l'arco

Il pubblico applaude ed io sono TERZO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Podio su un totale di 608 atleti arrivati!! Ok, il livello medio delle gare inglesi non è alto come quello delle gare dei tapascioni (in particolare) romani, ma non si può negare che si tratta di un grande risultato, nonché mio PB (e ci voleva poco, visto che è la prima gara che disputo sulla distanza dei 5 km!!).

Il cronometro dirà di un tempo eccellente, ben migliore anche delle previsioni più rosee del coach: 17’23. Secondo il mio GPS il tracciato di gara è di 4.9 km, il che significherebbe comunque un tempo virtuale sui 5 km di 17’42-17’44, fantastico lo stesso: 3’33/km di media, senza avere sofferto e con energia ancora in corpo!!  

Arrivo al traguardo fresco come una rosa, nessun dolore al fianco mi tormenta questa volta, né sento fatica.
Sono soddisfattissimo per la gara, per il piazzamento, per questo sole che solamente in tarda mattinata inizia a trasmettere una parvenza di tepore a noi atleti.

La soddisfazione mi fa venire voglia di correre ancora e, infatti, mi "sparo" altri 2 km di defaticamento in giro per il parco, felice e convinto di avere incontrato le aspettative dell’esigente coach, i cui allenamenti sulla velocità stanno dando risultati davvero incoraggianti (oh, che sia chiaro e messo agli atti, io continuo a preferire le mezzemaratone!).

La prossima tappa podistica sarà una gara di 10 km a Parigi, domenica 18 novembre: il tracciato questa volta si prevede ondulato, con una salitona terrificante (a detta dei blogger transalpini) e condizioni meteo che difficilmente saranno tanto favorevoli come in questa soleggiata domenica londinese di metà novembre.

Viva i podisti londinesi, viva il coach e...alla prossima, mirabolante avventura sportiva!

Sunday 4 November 2012

Pine Ridge Run - 3 novembre 2012... ...sandy anche in Inghilterra



La ratio dell’iscrizione a questa gara è stata la seguente: il coach ha constatato un grande margine di miglioramento per l’aspirante brontorunner nelle brevi distanze, con conseguente e necessario obbligo di lavorare sulla forza e sulla potenza, piuttosto che sulla resistenza. Pertanto, dopo attenta analisi del calendario podistico inglese, la preferenza è andata a una gara campestre, la Pine Ridge Run, opzione ideale per allenare queste caratteristiche.

Mappa gara

Con grande curiosità, interesse e un certo sospetto mi sono avvicinato a questa manifestazione, presentata come gara paesaggisticamente incantevole, off-road, ondulata, completamente immersa nella tenuta di Wisley. Da ricerche ulteriori su internet, apprenderò che si tratta di un’area di oltre 300 ettari nel verdissimo Surrey, dichiarata sito nazionale di particolare interesse naturalistico per la conservazione e la salvaguardia di specie floreali, incluso nella lista delle “European Special Protection Areas”. Betulle, boschi di pini e brughiera rappresentano lo scenario mozzafiato di chi ha la fortuna di capitarci.



1 km di camminata dal parcheggio allo start

Brughiera inglese

Tutto questo, unito alla breve distanza da casa (appena dieci km), mi ha convinto ad iscrivermi senza troppe esitazioni.

Con l’insana collaborazione del coach, qualche giorno prima della gara ho incrociato, su Garmin Connect, tempi, distanze effettive e livello medio di vari soggetti, le cui gesta nelle edizioni passate, soprattutto quella 2011, sono state puntualmete spiate. Fra le varie curiosità, questa analisi ci ha mostrato che lo scorso anno il percorso era qualche centinaio di metri più corto rispetto ai 10 km ufficiali.

Come prevedibile, dalle ricerche si evinceva e prevedeva anche uno sforzo muscolare notevole, con grande irregolarità, nel percorso, con impegnativi saliscendi e traiettorie poco lineari . Ciò che invece Garmin Connect non poteva rilevare è l’utilizzo di vari bloggers delle parole “muddy”, "sandy" e “undulating” per descrivere la Pine Ridge.  Insomma, come sempre avrei dovuto affrontare fango, saliscendi, sabbia e fatica bestiale. Pensare che uno come me, podista equilibrato, predilige la strada e la regolarità del passo!

Muddy sicuramente è muddy
Sandy sicuramente è sandy (in lontananza bandiera dello start)

Mi dico che si tratta di un allenamento piuttosto duro e la prendo con filosofia, almeno prima della partenza.
Arrivo sul posto in sabato mattina incantevole: sole splendente in cielo, aria tersa, 5 gradi di temperatura, vento sostenuto (e purtroppo forte durante la corsa). Durante il tragitto vedo dal finestrino cavalli, mucche, scoiattoli, una natura rigogliosissima, il meglio della campagna inglese, tante colline, tipicissimi scenari rurali. Insomma, mi reco alla corsa con spirito rinfrancato e positivo, sono ottimista e non voglio pensare al fondo muddy, sandy e undulating che di lì a poco mi avrebbe “accolto a braccia aperte”.

Arrivato nella zona parcheggio, che disterà dallo start 1 km di camminata su terreno impervio, noto moltissimi e solerti marshals dell’organizzazione in versione parcheggiatori, un clima diffusamente disteso, un immancabile gazebo per la consegna dei chip (il pettorale mi era giunto per posta), area caffè e torte (sic!). Insomma, il solito spirito allegro delle manifestazioni podistiche in terra inglese che ogni volta mi fanno preferire la faticaccia e l’alzataccia ad un sonno prolungato nel fine settimana.

Zona consegna chip

Plotone di marshals

Ai piedi stavolta ho le pesanti New Balance da trail, che si riveleranno necessarie e utili per “sopravvivere”, come del resto era stato puntualmente fatto intendere dall’organizzazione qualche giorno prima della gara.
Giungo sul posto un’ora prima dello start per fare una breve ricognizione, scattare qualche foto, tornare alla macchina e riandare nella zona partenza, che appunto si trova ad una decina di minuti a piedi dai parcheggi. 

Il vento si dovrebbe "vedere" dalla bandiera e dai rami


In questo angolo di paradiso inizio a vedere le prime cose che, podisticamente parlando, non mi piacciono: percorso pieno di fango “fresco”, pozzanghere, radici, buche e terra morbida che sembra sabbia di mare. Il vento soffia a ritmo crescente, il che di certo non avrebbe aiutato noi corridori.

Sopralluogo e ricognizione pre-gara

Zona partenza

Il mio zaino che posa in foto

Il tempo di fare pipì per qualche fratta e mi attesto con umiltà nel primo gruppetto di 20-30 persone allo start. Dietro si forma una lunga coda ed un serpentone di 400-500 podisti. Al mio fianco noto un imberbe ragazzotto con ai piedi le scarpe che ho appena ordinato per i miei allenamenti, le Brooks Ghost 4, comode A3 che dovrebbero nei prossimi giorni mandare in pensione le fantastiche ed eccellenti Mizuno Wave Rider 15, dopo quasi 800 km di onorato servizio.

Il luogo di partenza non coincide con quello dell’arrivo, che per fortuna è più vicino alle auto parcheggiate.  Lo start è dato con circa 15’ di ritardo a causa, appunto, delle persone attardatesi a pascolare in zona parcheggio, malgrado i ripetuti avvisi dell’organizzazione a farsi trovare pronti per le 10.30 sotto l’arco di partenza.

Si parte con un countdown all’americana, io mi posiziono nel gruppetto dei primi 20. Tempo 80 metri e, colpevolmente, taglio la strada ad un povero podista per evitare una non meglio identificata (e gigantesca) massa fangosa con pozzanghera incorporata che, secondo me,  avrebbe anche potuto celare le prove del delitto Kennedy o un frigorifero!! Quello non batte ciglio e, al mio scusarmi, si scusa a sua volta (molto British): se l’avessi fatto al coach, mi avrebbe stroncato la carriera podistica con un perentorio calcione spaccagambe. Evviva il pacifismo inglese...

Constato tre cose: il fondo fa schifo, si inizia subito con 200 mt di salita (che non mi aspettavo) e due podiste-donne fanno sul serio partendo sparate e distanziandomi subito. Tutti questi tre negativi elementi si protrarranno maledettamente fino al traguardo.

Come a Richmond, parto con lo scopo unico e principale di restare in piedi e di non tuffarmi di faccia nel fango. Fare il tempo o la grande prestazione è per me impossibile; diversamente da quella gara, qui noto tanti saliscendi e terreno morbidissimo, spesso sabbioso.

Penso poi che il destino mi aveva avvisato chiaramente facendo capitare questa gara nel periodo dell’uragano Sandy (appunto, “sandy” come sabbioso) e di Ognissanti...ma proprio tutti tutti quelli contro cui ho imprecato dal primo alll’ultimo secondo di corsa!

Chiudo i primi due km in maniera decorosa, seguendo strane traiettorie per evitare di cadere (3’52, 3’55), al terzo e al quarto chilometro iniziano tratti in salita piuttosto fastidiosi, soprattutto fra il km 3 ed il km 3.5. Al quarto penso seriamente di fermarmi, come sempre non per l’affanno o per infortuni, ma perché non mi piace questo tipo di gare, che possono causare solo danni a tendini e al morale. Decido non so come di andare avanti, terzo km a 4'08, quarto a 4’21, quinto a 4’02. Gara decisamente lenta.

Da questa fase mi metto a correre con un gruppetto di sei persone, che sono riuscito a riprendere. Non sono dei fulmini, ma mi fa bene avere un punto di riferimento e riprendere un passo regolare e controllato (sesto km: 4’01). Purtroppo dura poco perché ricominciano delle salite irritanti che mi faranno chiudere il settimo a 4’10. Quando mancano 3 km, forse perché esausto psicologicamente dalla gara che non sopporto, mi getto corpo in avanti e aggredisco una discesa utilizzando lo stile del coach. Sorprendentemente, dei sei del gruppetto, cinque si staccheranno e solamente uno mi resterà alle calcagna, fino all’ultimo. In una gara opaca, uno sprazzo di orgoglio e di riscossa!

Ottavo km a 3’58, dopo 500 metri si ritransita davanti alla zona partenza e si arriva al cartello del nono, dove vedo un atleta zoppicante, fermo ai lati del sentiero infangato: forse era lo stesso che ho visto infortunarsi “in diretta” nella prima parte di gara e che adesso stava avviandosi in zona traguardo? Non lo saprò mai. Non mi sorprendo, comunque, considerato il terreno accidentato.

Al nono chilometro sento il solito dolore al fianco destro tormentarmi, non che oggi conti molto ma mi dà davvero fastidio e il sorpasso del podista, che mi seguiva dal mio allungo del settimo km, giunge non solo inesorabile ma per certi versi quasi liberatorio. Ovviamente mi passa in un tratto in cui mi ero fermato (letteralmente al passo) perché la strada era sbarrata in ogni centimetro quadrato da fango e pozzanghere.
Nono e decimo rispettivamente a 4'04 e a 3'59.

Mi complimento e gli faccio ampi cenni di allungare: voglio chiudere questa agonia psicologica da solo, con un ultimo km lentissimo per non smadonnare soprattutto contro il fianco che mi fa di nuovo male. 

Sorprendentemente e con grande sportività, il tizio si volta e mi incita a non mollare, dicendomi che terrà lui il passo e di seguirlo perché c’è un altro (del gruppetto dei sei) che sta arrivando in progressione da dietro. Questo appello a stringere i denti mi è servito per non crollare e per seguirlo, ovviamente a distanza, negli ultimi 300 metri di fango prima di giungere sul rettilineo transennato, tagliare il traguardo e vedere un tempo non certo esaltante di 41’31’’ (che, sui 10250 metri percorsi, equivale ad una media di 4’03 al km).

Il tizio che mi ha incoraggiato mi viene incontro per congratularsi e per darmi la mano: forse ha letto la grande delusione sul mio volto e mi ha voluto consolare, confermando la bella solidarietà fra podisti che già in gara aveva ampiamente dimostrato. Il ragazzetto alle spalle non mi ha ripreso, per la cronaca.


Prima della gara si ride sempre...se corro con i ciclisti, significa che non ho buone sensazioni


Come sempre, quando insoddisfatto di una prestazione podistica, ho preso da bere, ho ritirato il pacco gara (stavolta una bella maglia verde) e a capo chino me ne sono andato via.

La cronaca dirà che mi sono classificato 10° assoluto su 495 arrivati e che quest’anno mediamente si è andati 2 minuti più lenti che ne 2011.

Questo ottimismo va però obiettivamente mitigato dal fatto che la corsa era leggermente più lunga che lo scorso anno e, dagli esiti di un controllo incrociato dei tempi in altre gare di almeno 4 persone che mi hanno preceduto, si evince chiaramente che sul tracciato campestre e ondulato sono ancora troppo lento in termini relativi. Non è accettabile che in gare “bucoliche” del genere mi superi gente che su strada (e soprattutto in mezzamaratona) sconfiggerei con facilità, anche andando ben più piano che a Nottingham. Ampi margini di miglioramento sulla velocità e la potenzia, diceva il coach alla vigilia, ancora una volta aveva ragione, concordo e sottoscrivo.

Gli sfottò del coach a fine gara, peraltro, fungeranno da sprone per affrontare i prossimi allenamenti con rinnovata grinta e, soprattutto, con tanta rabbia e positiva incazzatura in corpo in vista delle gare in calendario: una 10 km a Parigi il 18 novembre (se mi ammettono gli organizzatori) e forse una 10 km in pista a Roma (con il coach) il 25 novembre (dico “forse” perché in questa condizione di forma non arriverei neanche al quinto chilometro!).

Viva i podisti di Sua Maestà e, in un impeto di saggezza, chiudo questo blog con una profonda massima podistica: "se avessi voluto una gara sulla sabbia, me ne sarei andato a correre a Copacabana"

Monday 22 October 2012

Run Richmond Riverside - 20 ottobre 2012 Se...sto così, non mi lamento


Dopo la grande prestazione in Patria di inizio ottobre, dettagliatamente descritta nel post precedente, il fratello coach mi ha segnalato qualche settimana fa una gara inglese in apparenza piatta e veloce.
 
La premessa è che, non avendo in vista alcuna sfida sulla tanto amata lunga distanza (mezzamaratona), i miei allenamenti sono -e sempre più saranno nelle prossime settimane- finalizzati alla potenza ed alla velocità piuttosto che alla resistenza e all’alto chilometraggio. Ahimé, come accennavo, io prediligo più le lunghe distanze e la resistenza, ma il coach ha ritenuto giusto e più utile lavorare su altro, visto che i margini di miglioramento sui 5 e 10 km appaiono vastissimi. Le disposizioni del coach non si discutono ma si seguono alla lettera!
 
Il rigido inverno inglese e le frequenti trasferte di lavoro sono elementi di cui purtroppo dovrò tenere conto nei prossimi mesi per una pianificazione mirata ed efficace degli allenamenti e delle gare. Adesso è il periodo delle distanze brevi, è giusto così e lo devo accettare.
 
Questa volta, dicevo, lo scenario di gara è una lingua di terra sulle sponde del Tamigi, a due passi dal glorioso stadio del rugby di Twickhenam e dell’immenso parco di Richmond, alle porte di Londra. 
L’evento, che coniugherà una sana giornata di sport alla raccolta fondi per un’associazione benefica che si batte per la lotta contro il cancro, vedrà un’alta forbice fra il numero di iscritti (1029) e quello degli arrivati al traguardo (688). Una volta in loco - e dopo i primi metri di gara - capirò le ragioni di tante defezioni.
La corsa è presentata come piatta e "adatta alla ricerca del proprio PB", anche se gli organizzatori, alla vigilia, hanno avuto l’onestà di specificare sul sito internet dell’evento che, in caso di pioggia, il tracciato sterrato "sarebbe diventato molto fangoso e il sentiero, pieno di buche, si sarebbe riempito di pozzanghere". 
 
Altra cosa che mi lasciava perplesso, in fase di studio della mappa del percorso, era il tipo di tracciato. In particolare, a farmi innervosire erano le due inversioni a “U”, con tanto di risalita in senso inverso di marcia sul lungofiume, collocate intorno ai km quarto e nono.  Queste, oltre a far perdere il ritmo e a rallentare il passo, avrebbero costretto inevitabilmente a dei pericolosi zig-zag per evitare incidenti frontali con i podisti lasciati alle spalle.

Bello scenario, ma non ideale per la corsa
 
A completare il quadro non proprio favorevole, va segnalato che il del giorno prima della corsa la zona è stata falcidiata da 12 ore di pioggia ininterrotta...altro infausto presagio.
 
La sveglia al mattino della gara è alle 6.30, il tempo di aprire le tende e constatare che fuori, oltre al buio, ad attendermi è una nebbia piuttosto fitta. Vinta l’iniziale tentazione di rimettermi a letto e dormire fino a mezzogiorno, mi sono detto, in uno slancio di ottimismo, che la presenza della nebbia avrebbe significato vento debole o assente, quindi condizione ideale per correre. Che cosa non si farebbe pur di sopportare il tempo schifoso dell’Inghilterra e vincere la meteoropatia...
 
Alle 7.40 esco di casa con il mio bolide: la nebbia si è leggermente diradata e di certo non ci sono problemi di visibilità, il cielo è grigissimo, le nuvole basse, il termometro segna 8 gradi ed io mi sento felice perché mi sembra faccia addirittura caldo (pensa te...sto diventando come i nord europei che, a dicembre, girano per Roma in bermuda ed infradito).
 
Dopo una mezzoretta di guida, passato in rassegna il tempio del Rugby, avvistati numerosi corridori all’interno del parco di Richmond e ammirate delle ville meravigliose, circondate da veri e propri poderi, parcheggio senza problemi a meno di un chilometro dallo start e, appena giunto sul lungo Tamigi, mi avvio in zona partenza dove noto subito:
 
· Vari stand che renderanno l’evento piacevole e ben organizzato
· Tantissime persone con famiglie e cani al seguito e buona segnaletica nell’area start-finish
· Tenda per deposito bagaglio
· 8 bagni chimici, dotati di sciacquone e lavandino (un lusso)
· Ottima distribuzione del pacco gara, “a zone” ed in base al numero di pettorale comunicato a ciascun atleta via e-mail qualche giorno prima
· Piacevole musica, interrotta da una speaker che tentava invano di movimentare i pacati e silenziosi podisti inglesi
· Tanto, tanto e tanto fango, buche ovunque, partenza e arrivo su erba alta

In cuor mio faccio finta di essere ottimista e di non vedere quello che purtroppo è evidente a tutti: il percorso è stretto, completamente sterrato e scivolosissimo a causa del fango e delle pozze.


Zona partenza e stand

Transenne e zona arrivo

Rito di iniziazione al fango che ogni padre inglese deve compiere
Imprecando per non avere portato dietro le scarpe da trail, decido di lasciare le mie leggere Adidas arancioni nella borsa e di mettere ai piedi le Mizuno da allenamento (A3), giusto per evitare storte e cadute.
Inizio il mio riscaldamento percorrendo il lungofiume sul tracciato di gara, appena accelero la suola delle scarpe slitta e pattina, saltello lateralmente come un idiota o allungo la falcata per evitare di finire nel fango o nelle pozze. In alcuni punti addirittura è inevitabile mettere i piedi “a bagno” visto che non esistono vie di fuga rispetto all’angusto tracciato campestre. Percorro 2 km e a malapena riesco a fare 4 allunghi senza cadere.
 
Alla partenza la speaker chiederà a chi prevede di gareggiare sotto i 40’ di farsi avanti e attestarsi in “prima griglia”. La disciplina degli inglesi renderà l’operazione efficace, rapida e per me utilissima per evitare imbottigliamenti e nei primi metri di corsa. In questa griglia si presenterà una quarantina di anime, fra cui varie donne. Mi sembra strano che possano chiudere una gara campestre del genere sotto i 40’ e le mie impressioni si riveleranno accurate. All’arrivo chiuderanno sotto questa soglia solamente dieci podisti e, fra loro, non figurerà alcuna donna.
 
Alla partenza, puntualmente avvenuta alle 9.30, mi attesto nel gruppetto dei primi quindici, ma non riesco in alcun modo a controllare la situazione, visto che passerò tutti i dieci chilometri di gara con gli occhi inchiodati al suolo, cimentandomi in improbabili manovre per evitare le sabbie mobili fangose o di “affogare” nelle pozze.
Gli inglesi, questi maledetti amanti del cross-country, sembrano godere ad ogni affondo delle loro reali caviglie nella melma, io sono incazzato come un toro, semplicemente pattino e non ho grip. Rimpiango il letto ed un lungo sonno domenicale cui ho rinunciato per questa cavolo di corsa.
 
Non conto quanti podisti mi precedono, non riesco a sentire la spinta delle gambe, certo il percorso è piatto, ma mi sembra il solo lato positivo di tutta la gara. A completare il disappunto, constato che la segnaletica è completamente sballata: il cartello del primo km appare quando, secondo il ben più attendibile gps, sono stati percorsi appena 600 metri. Insomma, tutto sembra far presagire ad una giornata nera e da dimenticare.
 
Al quarto chilometro medito di fermarmi, non tanto per la paura di farmi male (in caso di caduta, al massimo rotolerei nel fango come un maiale) quanto per l’insensatezza di condurre una gara senza alcun divertimento, senza viverne lo spirito né goderne lo scenario. C’è pubblico lungo il tracciato, lo sento, mi fa piacere perché è sportivo ed incita tutti, ma tutto ciò non basta a farmi piacere questa corsa oggi.
Intorno al quarto chilometro giungo all’estremità sud del lungo Tamigi e, dopo la prima delle due suicide inversioni di marcia  “a U”, risalgo verso nord per tornare in zona start-finish (ottavo km), salvo poi percorrere un altro chilometro, invertire ancora il senso di marcia con curva “a U” e sparare l’ultimo chilometro a tutta birra.
 
A tenermi in corsa sarà solamente il positivo riscontro cronometrico al quinto chilometro (19’15): non male viste le circostanze e considerato che qualsiasi tempo sotto ai 40’ mi sarebbe andato benissimo.
 
Decido di continuare, malgrado il nervosismo, non vengo mai passato e sono invece io a superare alcuni dei podisti che costituivano il gruppetto iniziale dei quindici di testa.
La mia gara inizia ad avere senso quando, intorno al sesto chilometro, avvisto a un’ottantina di metri un solitario avversario, più o meno dell’età mia. Lo vedo con la sua maledetta maglia tecnica verde ed i capelli rossi! Davanti a lui nessuno appare raggiungibile: la mia gara campestre da quel momento diventerà il perfido roscio. Trovo una ragione valida per giungere al traguardo.

Sinceramente fatico non poco a riprenderlo: al settimo chilometro è a meno di tre metri da me, ma vedo che non molla, si muove benissimo sul tracciato fangoso, non evita alcuna pozzanghera, anzi sembra godere nell’immergere i piedi fino alle caviglie in quei liquami marroni. Le sue traiettorie sono molto più sensate e lineari rispetto ai miei zig-zag e saltelli laterali.

Passo davanti alla zona start dell’ottavo chilometro e, ringalluzzito dal pubblico, decido di affiancarlo, un po’ perché mi sono rotto di prendere il fango delle sue scarpe e un po’ per fargli sentire un minimo di pressione psicologica.

Il roscio non solo non si scompone ma, al contrario, dopo qualche centinaio di metri allunga e si riattesta a 3 metri da me. Mi sta antipatico, questo è certo, ma nell’affiancarlo ho sentito anche che ha il respiro pesante ed il fiatone (non che io fossi brillante come al Trofeo Sant’Ippolito...).
  
Mi apposto come un avvoltoio alle sue spalle e, poco prima del nono chilometro, inizio a vedere gli atleti davanti a me che tornano verso l’arrivo in senso inverso. Ne conto quattro o cinque, ma di certo non mi appago e non voglio darla vinta al roscio maledetto.

Procedo anche io e supero l’infame inversione a U, segnalata da un birillo a terra, e mi ritrovo ad affrontare l’ultimo chilometro sempre tenendomi incollato al tubo di scarico della lepre. Come in una maledizione, al km 9.4 inzio a sentire male al solito fianco destro, ormai un tormento per me. In Olanda lo stesso problema mi aveva letteralmente fatto crollare nel finale, a Nottingham non mi aveva impedito di chiudere decentemente l’ultimo chilometro, anche se mi aveva impedito qualsiasi velleità di volata. Stavolta? Beh, stavolta c’è un avversario da affrontare e, possibilmente, da sconfiggere. Si stringono i denti e si vedrà in questi ultimi seicento metri.

Accorcio le falcate aumentandone intensità e frequenza. Il fianco fa male, mi accosto di nuovo al roscio. Spero nel suo crollo, che non arriverà mai. Siamo adesso al km 9.5, non cede e anzi rilancia, allunga e si riattesta a un paio di metri da me. Pazienza, inizio a pensare di non avere più forze né possibilità di riprenderlo, anche perché l'inerzia della gara sembra a suo favore: io sono sofferente e lui in progressione. Da lontano vedo apparire il traguardo, non mollo e mi tengo alla distanza minima per non essere accusato di prenderne la scia senza tuttavian perderne il contatto.

A duecento metri dall’arrivo, ancora sullo sterrato, sento lo speaker ed il pubblico rumoreggiare ed incitare chi sta arrivando.

E’ stata una gara insensata, non mi è piaciuta, non guardo l’orologio con il tempo dal quinto chilometro, semplicemente non mi interessa oggi.
 
Non so cosa mi sia preso, ma a un certo punto semplicemente mi incazzo come cinghiale e decido che non posso darla vinta al roscio maledetto. Sparo tutte le cartucce che ho, non guardo più il terreno ed il fango; affronto l’ultimo rettilineo, quello sull’erba alta, transennato e animato dal pubblico, sprintando negli ultimi cento metri alla Ben Johnson delle Olimpiadi nel 1988 (quello dopato!): ginocchia alte e ampissimi movimenti delle braccia. Affianco il roscio, sono in fase di decollo, non reagisce, aziono i post-bruciatori e lo lascio sul posto senza che abbia neanche il tempo di reagire.  
Al traguardo gli darò due secondi, non ho vinto LA gara ma la MIA personale gara, togliendomi una bella soddisfazione proprio quando il fianco faceva male.

Posa plastica in zona arrivo
La cronaca parlerà anche di un eccellente sesto posto assoluto, conseguenza più del non irresistibile livello generale che della mia performance! Sesto su 668 arrivati, volente o nolente, è oggettivamente un gran bel risultato.


I segni della battaglia

Maglia infangata, gara fortunata

Il tempo di gara, invece, sarà molto meno brillante di quanto fatto registrare al Sant'Ippolito ma non certo da buttare via (38'55).


Split
Time
Distance
Avg Pace
Summary38:56.810.033:53
13:48.41.003:48
23:53.21.003:53
33:48.81.003:49
43:52.21.003:52
53:53.21.003:53
63:55.81.003:56
74:00.21.004:00
83:55.11.003:55
93:57.91.003:58
103:47.21.003:47
11:05.00.03


Come ricordava il coach nel pre-gara, in corse campestri come questa il piazzamento è l’unica cosa che conta, ben più del tempo e del cronometro! Unito al ceffone podistico rifilato al roscio maledetto, questo sesto posto ha dato un sapore tutto sommato dolce ad una corsa che il prossimo anno difficilmente mi rivedrà fra gli iscritti.


Next event il 3 novembere con la Pine Ridge Run, gara campestre di 10 km molto “ondulata” e tutta all’interno di un bellissimo bosco vicino casa! Stavolta le scarpe da trail non mancheranno ai miei piedi!!

Viva i podisti di tutto il mondo, infangati o rosci che siano!!