Dopo la grande
prestazione in Patria di inizio ottobre, dettagliatamente descritta nel post
precedente, il fratello coach mi ha segnalato qualche settimana fa una gara inglese in apparenza
piatta e veloce.
La premessa è
che, non avendo in vista alcuna sfida sulla tanto amata lunga distanza (mezzamaratona),
i miei allenamenti sono -e sempre più saranno nelle prossime settimane-
finalizzati alla potenza ed alla velocità piuttosto che alla resistenza e all’alto
chilometraggio. Ahimé, come accennavo, io prediligo più le lunghe distanze e la resistenza, ma
il coach ha ritenuto giusto e più utile lavorare su altro, visto che i margini
di miglioramento sui 5 e 10 km appaiono vastissimi. Le disposizioni del coach non si discutono ma si seguono alla lettera!
Il rigido inverno
inglese e le frequenti trasferte di lavoro sono elementi di cui
purtroppo dovrò tenere conto nei prossimi mesi per una pianificazione mirata ed
efficace degli allenamenti e delle gare. Adesso è il periodo delle distanze brevi, è giusto così e lo devo accettare.
Questa volta,
dicevo, lo scenario di gara è una lingua di terra sulle sponde del Tamigi, a due
passi dal glorioso stadio del rugby di Twickhenam e dell’immenso parco di
Richmond, alle porte di Londra.
L’evento, che coniugherà una sana giornata di
sport alla raccolta fondi per un’associazione benefica che si batte per la
lotta contro il cancro, vedrà un’alta forbice fra il numero di iscritti (1029)
e quello degli arrivati al traguardo (688). Una volta in loco - e dopo i primi metri di gara - capirò le ragioni di tante defezioni.
La corsa è
presentata come piatta e "adatta alla ricerca del proprio PB", anche se
gli organizzatori, alla vigilia, hanno avuto l’onestà di specificare sul sito
internet dell’evento che, in caso di pioggia, il tracciato sterrato "sarebbe
diventato molto fangoso e il sentiero, pieno di buche, si sarebbe riempito
di pozzanghere".
Altra cosa che mi lasciava perplesso, in fase di studio della
mappa del percorso, era il tipo di
tracciato. In particolare, a farmi innervosire erano le due inversioni
a “U”, con tanto di risalita in senso inverso di marcia sul lungofiume,
collocate intorno ai km quarto e nono. Queste,
oltre a far perdere il ritmo e a rallentare il passo, avrebbero costretto inevitabilmente a dei pericolosi zig-zag per evitare incidenti frontali con i
podisti lasciati alle spalle.
A completare il quadro non proprio favorevole, va segnalato che il del giorno prima
della corsa la zona è stata falcidiata da 12 ore di pioggia
ininterrotta...altro infausto presagio.
La sveglia al
mattino della gara è alle 6.30, il tempo di aprire le tende e constatare che
fuori, oltre al buio, ad attendermi è una nebbia piuttosto fitta. Vinta l’iniziale
tentazione di rimettermi a letto e dormire fino a mezzogiorno, mi sono detto,
in uno slancio di ottimismo, che la presenza della nebbia avrebbe significato
vento debole o assente, quindi condizione ideale per correre. Che cosa non si
farebbe pur di sopportare il tempo schifoso dell’Inghilterra e vincere la
meteoropatia...
Alle 7.40 esco di
casa con il mio bolide: la nebbia si è leggermente diradata e di certo non ci
sono problemi di visibilità, il cielo è grigissimo, le nuvole basse, il
termometro segna 8 gradi ed io mi sento felice perché mi sembra faccia
addirittura caldo (pensa te...sto diventando come i nord europei che, a dicembre,
girano per Roma in bermuda ed infradito).
Dopo una
mezzoretta di guida, passato in rassegna il tempio del Rugby, avvistati
numerosi corridori all’interno del parco di Richmond e ammirate delle ville
meravigliose, circondate da veri e propri poderi, parcheggio senza problemi a meno
di un chilometro dallo start e, appena giunto sul lungo Tamigi, mi avvio in zona
partenza dove noto subito:
· Vari stand
che renderanno l’evento piacevole e ben organizzato
· Tantissime
persone con famiglie e cani al seguito e buona
segnaletica nell’area start-finish
· Tenda
per deposito bagaglio
· 8
bagni chimici, dotati di sciacquone e lavandino (un lusso)
· Ottima
distribuzione del pacco gara, “a zone” ed in base al numero di pettorale comunicato
a ciascun atleta via e-mail qualche giorno prima
· Piacevole
musica, interrotta da una speaker che tentava invano di movimentare i pacati e
silenziosi podisti inglesi
· Tanto,
tanto e tanto fango, buche ovunque, partenza e arrivo su erba alta
In cuor mio faccio finta di essere ottimista e di non vedere quello che purtroppo è evidente a tutti: il percorso è stretto, completamente sterrato e scivolosissimo a causa del fango e delle pozze.
Zona partenza e stand |
Transenne e zona arrivo |
Rito di iniziazione al fango che ogni padre inglese deve compiere |
Imprecando per
non avere portato dietro le scarpe da trail, decido di lasciare le mie leggere
Adidas arancioni nella borsa e di mettere ai piedi le Mizuno da allenamento (A3),
giusto per evitare storte e cadute.
Inizio il mio
riscaldamento percorrendo il lungofiume sul tracciato di gara, appena accelero
la suola delle scarpe slitta e pattina, saltello lateralmente come un idiota o
allungo la falcata per evitare di finire nel fango o nelle pozze. In alcuni
punti addirittura è inevitabile mettere i piedi “a bagno” visto che non
esistono vie di fuga rispetto all’angusto tracciato campestre. Percorro 2 km e
a malapena riesco a fare 4 allunghi senza cadere.
Alla partenza la
speaker chiederà a chi prevede di gareggiare sotto i 40’ di farsi avanti e
attestarsi in “prima griglia”. La disciplina degli inglesi renderà l’operazione
efficace, rapida e per me utilissima per evitare imbottigliamenti e nei
primi metri di corsa. In questa griglia si presenterà una quarantina di anime, fra cui
varie donne. Mi sembra strano che possano chiudere una gara campestre del
genere sotto i 40’ e le mie impressioni si riveleranno accurate. All’arrivo chiuderanno sotto questa soglia solamente dieci
podisti e, fra loro, non figurerà alcuna donna.
Alla partenza,
puntualmente avvenuta alle 9.30, mi attesto nel gruppetto dei primi quindici,
ma non riesco in alcun modo a controllare la situazione, visto che passerò
tutti i dieci chilometri di gara con gli occhi inchiodati al suolo,
cimentandomi in improbabili manovre per evitare le sabbie mobili fangose o di “affogare”
nelle pozze.
Gli inglesi,
questi maledetti amanti del cross-country, sembrano godere ad ogni affondo
delle loro reali caviglie nella melma, io sono incazzato come un toro,
semplicemente pattino e non ho grip. Rimpiango il letto ed un lungo sonno
domenicale cui ho rinunciato per questa cavolo di corsa.
Non conto quanti
podisti mi precedono, non riesco a sentire la spinta delle gambe, certo il
percorso è piatto, ma mi sembra il solo lato positivo di tutta la gara. A
completare il disappunto, constato che la segnaletica è
completamente sballata: il cartello del primo km appare quando, secondo il ben
più attendibile gps, sono stati percorsi appena 600 metri. Insomma, tutto sembra far presagire ad una giornata nera e da dimenticare.
Al quarto
chilometro medito di fermarmi, non tanto per la paura di farmi male (in caso di
caduta, al massimo rotolerei nel fango come un maiale) quanto per l’insensatezza
di condurre una gara senza alcun divertimento, senza viverne lo spirito né
goderne lo scenario. C’è pubblico lungo il tracciato, lo sento, mi fa piacere
perché è sportivo ed incita tutti, ma tutto ciò non basta a farmi piacere
questa corsa oggi.
Intorno al quarto chilometro giungo all’estremità sud del lungo Tamigi e, dopo la prima delle due suicide inversioni di marcia “a U”, risalgo verso nord per tornare in zona start-finish (ottavo km), salvo poi percorrere un altro chilometro, invertire ancora il senso di marcia con curva “a U” e sparare l’ultimo chilometro a tutta birra.
Intorno al quarto chilometro giungo all’estremità sud del lungo Tamigi e, dopo la prima delle due suicide inversioni di marcia “a U”, risalgo verso nord per tornare in zona start-finish (ottavo km), salvo poi percorrere un altro chilometro, invertire ancora il senso di marcia con curva “a U” e sparare l’ultimo chilometro a tutta birra.
A tenermi in corsa
sarà solamente il positivo riscontro cronometrico al quinto chilometro (19’15): non male
viste le circostanze e considerato che qualsiasi tempo sotto ai 40’ mi
sarebbe andato benissimo.
Decido di
continuare, malgrado il nervosismo, non vengo mai passato e sono invece io a
superare alcuni dei podisti che costituivano il gruppetto iniziale dei quindici
di testa.
La mia gara inizia
ad avere senso quando, intorno al sesto chilometro, avvisto a un’ottantina di
metri un solitario avversario, più o meno dell’età mia. Lo vedo con la sua maledetta
maglia tecnica verde ed i capelli rossi! Davanti a lui nessuno appare raggiungibile:
la mia gara campestre da quel momento diventerà il perfido roscio. Trovo una ragione valida per giungere al traguardo.
Sinceramente fatico non poco a riprenderlo: al settimo chilometro è a meno di tre metri da me, ma vedo che non molla, si muove benissimo sul tracciato fangoso, non evita alcuna pozzanghera, anzi sembra godere nell’immergere i piedi fino alle caviglie in quei liquami marroni. Le sue traiettorie sono molto più sensate e lineari rispetto ai miei zig-zag e saltelli laterali.
Passo davanti alla zona start dell’ottavo chilometro e, ringalluzzito dal pubblico, decido di affiancarlo, un po’ perché mi sono rotto di prendere il fango delle sue scarpe e un po’ per fargli sentire un minimo di pressione psicologica.
Sinceramente fatico non poco a riprenderlo: al settimo chilometro è a meno di tre metri da me, ma vedo che non molla, si muove benissimo sul tracciato fangoso, non evita alcuna pozzanghera, anzi sembra godere nell’immergere i piedi fino alle caviglie in quei liquami marroni. Le sue traiettorie sono molto più sensate e lineari rispetto ai miei zig-zag e saltelli laterali.
Passo davanti alla zona start dell’ottavo chilometro e, ringalluzzito dal pubblico, decido di affiancarlo, un po’ perché mi sono rotto di prendere il fango delle sue scarpe e un po’ per fargli sentire un minimo di pressione psicologica.
Il roscio non solo non si scompone ma, al contrario, dopo qualche centinaio di metri allunga e si riattesta a 3 metri da me. Mi sta antipatico, questo è certo, ma nell’affiancarlo ho sentito anche che ha il respiro pesante ed il fiatone (non che io fossi brillante come al Trofeo Sant’Ippolito...).
Mi apposto come un avvoltoio alle sue spalle e, poco prima del nono chilometro, inizio a vedere gli atleti davanti a me che tornano verso l’arrivo in senso inverso. Ne conto quattro o cinque, ma di certo non mi appago e non voglio darla vinta al roscio maledetto.
Procedo anche io e supero l’infame inversione a U, segnalata da un birillo a terra, e mi ritrovo ad affrontare l’ultimo chilometro sempre tenendomi incollato al tubo di scarico della lepre. Come in una maledizione, al km 9.4 inzio a sentire male al solito fianco destro, ormai un tormento per me. In Olanda lo stesso problema mi aveva letteralmente fatto crollare nel finale, a Nottingham non mi aveva impedito di chiudere decentemente l’ultimo chilometro, anche se mi aveva impedito qualsiasi velleità di volata. Stavolta? Beh, stavolta c’è un avversario da affrontare e, possibilmente, da sconfiggere. Si stringono i denti e si vedrà in questi ultimi seicento metri.
Accorcio le falcate aumentandone intensità e frequenza. Il fianco fa male, mi accosto di nuovo al roscio. Spero nel suo crollo, che non arriverà mai. Siamo adesso al km 9.5, non cede e anzi rilancia, allunga e si riattesta a un paio di metri da me. Pazienza, inizio a pensare di non avere più forze né possibilità di riprenderlo, anche perché l'inerzia della gara sembra a suo favore: io sono sofferente e lui in progressione. Da lontano vedo apparire il traguardo, non mollo e mi tengo alla distanza minima per non essere accusato di prenderne la scia senza tuttavian perderne il contatto.
A duecento metri
dall’arrivo, ancora sullo sterrato, sento lo speaker ed il pubblico
rumoreggiare ed incitare chi sta arrivando.
E’ stata una gara insensata, non mi è piaciuta, non guardo l’orologio con il tempo dal quinto chilometro, semplicemente non mi interessa oggi.
E’ stata una gara insensata, non mi è piaciuta, non guardo l’orologio con il tempo dal quinto chilometro, semplicemente non mi interessa oggi.
Non so cosa mi
sia preso, ma a un certo punto semplicemente mi incazzo come cinghiale e decido
che non posso darla vinta al roscio maledetto. Sparo tutte le cartucce che ho,
non guardo più il terreno ed il fango; affronto l’ultimo rettilineo, quello
sull’erba alta, transennato e animato dal pubblico, sprintando negli ultimi cento
metri alla Ben Johnson delle Olimpiadi nel 1988 (quello dopato!): ginocchia alte e ampissimi movimenti delle
braccia. Affianco il roscio, sono in fase di decollo, non reagisce, aziono i
post-bruciatori e lo lascio sul posto senza che abbia neanche il tempo di
reagire.
Al traguardo gli darò due secondi, non ho vinto LA gara ma la MIA personale gara, togliendomi una bella soddisfazione proprio quando il fianco faceva male.
Al traguardo gli darò due secondi, non ho vinto LA gara ma la MIA personale gara, togliendomi una bella soddisfazione proprio quando il fianco faceva male.
Posa plastica in zona arrivo |
La cronaca
parlerà anche di un eccellente sesto posto assoluto, conseguenza più del non
irresistibile livello generale che della mia performance! Sesto su 668
arrivati, volente o nolente, è oggettivamente un gran bel risultato.
Il tempo di gara, invece, sarà molto meno brillante di quanto fatto registrare al Sant'Ippolito ma non certo da buttare via (38'55).
Come ricordava il coach nel pre-gara, in corse campestri come questa il piazzamento è l’unica cosa che conta, ben più del tempo e del cronometro! Unito al ceffone podistico rifilato al roscio maledetto, questo sesto posto ha dato un sapore tutto sommato dolce ad una corsa che il prossimo anno difficilmente mi rivedrà fra gli iscritti.
I segni della battaglia |
Maglia infangata, gara fortunata |
Il tempo di gara, invece, sarà molto meno brillante di quanto fatto registrare al Sant'Ippolito ma non certo da buttare via (38'55).
Come ricordava il coach nel pre-gara, in corse campestri come questa il piazzamento è l’unica cosa che conta, ben più del tempo e del cronometro! Unito al ceffone podistico rifilato al roscio maledetto, questo sesto posto ha dato un sapore tutto sommato dolce ad una corsa che il prossimo anno difficilmente mi rivedrà fra gli iscritti.
Next event il 3 novembere con la Pine Ridge Run, gara campestre di 10 km molto
“ondulata” e tutta all’interno di un bellissimo bosco vicino casa! Stavolta le scarpe da
trail non mancheranno ai miei piedi!!
Viva i podisti di
tutto il mondo, infangati o rosci che siano!!
hahaha, hai reso perfettamente l'idea e le foto post "battaglia" sono emblematiche!!! Ma all'arrivo almeno c'è stata la stretta di mano con il roscio modello football manager inglesi?
ReplyDeleteA dire il vero questa volta mi sono dileguato io subito dopo l'arrivo. In cuor mio mi sentivo in colpa di averlo bruciato nel finale, quando il roscio era stato davanti a me per 9.9 km di gara!
ReplyDelete