Finalmente si
ritorna a gareggiare in suolo britannico, dopo il rinvio della Kenley 10 km Run,
prevista per il 27 gennaio scorso ma rimandata a domenica 10 febbraio a causa
della neve e del ghiaccio delle scorse settimane.
Ripartirei
proprio dalle condizioni meteorologiche che hanno caratterizzato il mio rientro
in Inghilterra: se appena dopo l’Epifania il clima sembrava accettabile e
addirittura temperato rispetto agli standard del posto, le ultime 2-3 settimane
di allenamenti sono state martoriate e disturbate da neve, ghiaccio, vento
fortissimo e, ovviamente, freddo, freddo e ancora freddo.
Consueto scatto ricordo pre-gara |
Sono rientrato
dall’Italia con una latente sensazione di appesantimento post-vacanziero; forse
mi sbaglio e forse è solo un’impressione, ma ho constatato che in queste tre
settimane ho faticato molto di più a portare a termine allenamenti a volte
anche modesti. Altri segnali sembrerebbero far pensare ad un periodo non
eccelso, fisicamente parlando, ma voglio sperare che si tratti semplicemente di
tanta stanchezza, poche ore dormite, clima che scoraggia la pratica della
corsa, parecchio stress e soliti viaggi di lavoro.
Appresa con delusione
la notizia del rinvio della gara dello scorso fine settimana, d’accordo con il
coach, ho optato per l’iscrizione last-minute alla Run Eton 10 km, una corsa
pianeggiante sulle sponde del bacino di canottaggio olimpico di Dorney Lake, un
vero e proprio tempio dello sport inglese. Il luogo, peraltro, mi è particolarmente
caro perché teatro, nella primavera dello scorso anno, della prima corsa del
coach in suolo inglese (vedere post “All Nations 10 km”). Bei ricordi risalenti
a quasi 15 mesi fa.
Il coach, che è
molto meno romantico di me, mi aveva ammonito, con la consueta diffidenza, in
merito ai pericoli di una gara del genere, ricordando bene che il tracciato di
Dorney Lake ha una caratteristica potenzialmente insidiosissima per ogni
podista: è del tutto sprovvisto di barriere naturali protettive ed è
drammaticamente esposto ai venti ed alle folate, che tanto spesso soffiano a
queste latitudini. Per il tapascione, a parte il ghiaccio per terra, il vero
nemico è il vento, non tanto il freddo, il caldo o la pioggia.
Non curandomi dei
suoi consigli, peraltro molto saggi, decido di iscrivermi e a iniziare il
consueto controllo del sito Met Office UK per capire ogni giorno di più che
cosa mi avrebbe riservato il clima per questa giornata. Purtroppo apprenderò
molto presto di temperature poco sopra allo zero ma soprattutto di un
fortissimo e gelido vento da nord-ovest, esattamente contrario per metà gara (e
soprattutto per gli ultimi 2.5 km!).
Fango in zona parcheggio |
La Run Eton 10 km
fa parte di un fittissimo programma di gare di corsa, triathlon e duathlon che
si disputeranno in serie nei prossimi mesi. La corsa cui partecipo io vede la
partenza contemporanea degli atleti della 5 km (1 giro del circuito lungolago),
della 10 km (2 giri) e della 20 km (4 giri). La stessa gara si correrà a inizio
marzo e domenica 7 aprile, quando ad onorarla sarà la presenza del coach e dei
gagliardi fratelli Fabio e Giampiero, insostituibili compagni di squadra Lazio
Runners Team e di trasferte internazionali.
Scorcio zona partenza |
Primo tratto di gara, con vento a favore |
Trattandosi della
prima delle tre tappe, ho affrontato questa corsa nella totale ignoranza dello
storico dei risultati delle precedenti edizioni. Se questo da un lato mi ha
impedito di lanciarmi in ricerche forsennate sugli atleti passati, dall’altro
ha dato totale licenza al coach di avventurarsi in pronostici per me
impossibili ed in predizioni da guru dei tapascioni. Di seguito riporto le sue
frasi (ipse dixit) pre-gara:
-Correrai sempre da solo e per la vittoria,
-In partenza mettiti in scia del battistrada,
-Se il battistrada è troppo lento per te, staccati un paio di metri e fai
la tattica del gatto morto, ti riposi e a ¾ di gara te ne vai in progressione,
-Se si crea un gruppetto, datevi cambi regolari e nessuno si mette davanti
a tirare controvento. Rallenta o staccali,
-Non pensare al tempo, viste le condizioni climatiche, ma solo a fare gara
sull’uomo.
Il buon senso di
gran parte di questi consigli sarà da me constatato in gara, anche se purtroppo
sotto forma di rimpianto per non averli seguiti! Quanto alla metafora del gatto
morto, ho seguito più la componente del morto che quella felina...
La gara, la cui
partenza è fissata a un comodissimo orario (13h30), inizia per me con un
sopralluogo un’ora prima dello start. Enorme parcheggio su erba (e fango),
bacino di canottaggio con un paio di equipaggi in azione, acqua increspatissima
dal vento, bandiere dello sponsor (Gatorade) come vele spiegate, insomma ciò
che mi appare subito evidente è che ci sarà da soffrire, visto che i km 2.5-5 e
7.5-10 (quelli segnati dalle frecce gialle nella mappa) saranno clamorosamente controvento.
Ventosa zona partenza/arrivo |
Completata la
procedura di registrazione e ritirato il pettorale, scopro con somma sorpresa
che il chip ha la forma di una pennetta USB legata ad un velcro a strappo da indossare
intorno a una delle dita delle mani. Ciò che più mi lascia sbalordito è che a fine
gara, a quanto capisco, bisognerà infilare la testa di questo chip all’interno
di una macchina obliteratrice, che solo in quel momento rileva il tempo
ufficiale. Mi domando come sia possibile, in caso di sprint e arrivo in volata,
stabilire che chi abbia avuto la meglio. Quando me lo spiegano, penso di avere
capito male e non presto la dovuta attenzione alla vicenda. Altra prassi sbalorditiva
per certi versi è la cara e vecchia punzonatura pre-gara, con ogni podista
chiamato, appena ritirato il chip, ad inserirne una sezione all’interno di una
macchinetta simile a quella che poi si troverà al traguardo. La punzonatura
post-moderna...fantastica...
Il chip anulare (anche se io lo porto al medio). Mano ghiacciata |
Dato il vento
fortissimo, malgrado la giornata soleggiata, la temperatura di 5 gradi sembra
ben al di sotto dello zero ed io mi rifugio in auto tremante ed infreddolito.
Esco alle 13.10 per un quarto d’ora di riscaldamento lungo il tracciato di
gara, con i soliti ed immancabili allunghi, salvo dispormi a due minuti dalla
partenza in prossimità delle prime posizioni.
3,2, 1 si
parte...Come previsto, i primi 2.5 km sono con il vento a favore, io sbaglio
subito la tattica di gara e imposto un ritmo elevato per tenere la testa del
gruppetto di partenza (escluso un pazzo che ha staccato tutti e che, per
fortuna, gareggiava la corsa da 5 km). Davanti a me due ragazzi ed una donna
piuttosto forte. Li tengo sotto controllo e supero la donna poco dopo il cartello
del primo km (3’29). Ai bordi del bacino si vede una squadra di canottaggio
fare esercizi di atletica e guardarci incuriosita. Il secondo km passa liscio
in 3’32, colpevoli anche un paio di mini-cavalcavia/ponti e la mia intenzione
di non strafare. Si giunge al termine della “vasca” del circuito di canottaggio
e, con sommo dispiacere, scopro che non si ritorna dalla sponda opposta, il
parallelo lato lungo del rettangolo, ma si fa un’inversione a “u” intorno al
solito birillo prima di risalire per lo stesso lato del lago ma su un vialetto
ancora più esterno rispetto a quello da cui siamo giunti.
Invertito il
senso di marcia, vengo travolto da una barriera di vento che riesco a
neutralizzare alla meno peggio nel terzo km (3’38), ma che mi presenta
inevitabilmente il conto al quarto (3’48) e al quinto (3’50). Da sottolineare
l’azzeccatissima previsione del coach circa una mia condotta di gara in totale
solitudine, eccezion fatta per un forte atleta della corsa dei 20 km che,
paraculissimo, si appiccica alle mie spalle per 2 dei 2.5 km di vento
contrario, salvo poi superarmi e dirmi di accodarmi a lui (grazie al cavolo, mi
fai fare da locomotiva con il vento contrario e mi dai il cambio a 500 metri
dal giro di boa e dal vento in poppa?). Gli dico di andare e lo vedrò sempre
davanti a me di un centinaio di metri.
Al km 4.6 mi
viene un fortissimo dolore al solito fianco destro (o fegato): lo sconforto è
alle stelle e penso seriamente di ritirarmi al termine dei 5 km (18’17). Cerco
di non pensare che quello è lo stesso maledetto dolore che mi ha colpito a
Nottingham (ultimo dei 21,097 km) e ad Amersfoort (ultimo dei 21,097 km), solo
che questa volta si presenta addirittura prima di metà gara. Il resto della
storia mi vedrà affrontare i 2.5 km di vento a favore in una sorta di stato di
agonia senza soluzione di continuità. Per fortuna ho nel frattempo affiancato e
superato i due ragazzi con cui ero partito, che sembrano soffrire quanto me, ma
so di non poterli staccare di tanto.
Decido di
sfruttare il vento in poppa rallentando sensibilmente rispetto ai primi due km
e gestendo il dolore al fianco destro, che inevitabilmente fa scomporre la mia
postura e deforma la linearità della mia corsa, con inevitabili dolori a catena
alla schiena ed alla colonna vertebrale. Il sesto si chiude in 3’42 ed il
settimo in 3’40 (ricordo che sono i due km con vento a favore).
Al momento di
girare la boa, davanti ho ancora il tizio che mi voleva dare il cambio ed un
altro tizio che era partito fortissimo ma che è in vistoso calo: entrambi
indossano il pettorale della corsa da 20 km, il che significa che, al km 7.5 ed
in pieno stato di sofferenza, sono virtualmente il primo della gara sui 10
km...la mia gara! Il secondo è un ragazzo fisicatissimo, sicuramente un
triathleta, che in partenza mi aveva squadrato e che a due chilometri e mezzo
dall’arrivo è a soli 5-6 secondi di distanza da me.
Si gira la boa,
anzi il birillo, il vento sembra ancora più intenso. Non ci sono raffiche a 50
km/h come previsto, ma tira vento regolare a 50 km/h. La sofferenza non arriva
a ondate, ma è costante, permanente. Il fianco fa leggermente meno male ma il
dolore è salito in forma acuta alla bocca alta dello stomaco. Penso che prima o
poi andrà capito che cosa diavolo sia e penso anche al coach ed al suo monito a
proposito dei tracciati tanto esposti ai capricci di Eolo, per di più in terra
inglese...
L’ottavo km,
ormai in agonizzante solitudine, lo chiudo trascinandomi a 3’48, ma sento davvero
di non averne più. Cerco di capire quanto disti il triatleta, ma non riesco a
sentirne né passi né respiro: sarà ormai battuto oppure è il rumore del vento
che copre tutto? Non lo so e non me ne curo, fatico, fatico tantissimo ed il
nono arriva come una liberazione (3’53). Vedo bandiere e l’arco della zona
traguardo, al km 9.5 decido di cedere a quanto fino ad allora avevo rifiutato
categoricamente di fare: mi volto e controllo la situazione degli inseguitori
alle mie spalle. Il triatleta è staccato, sono solo al traguardo, i due della
20 km hanno preso la direzione destra, io giro a sinistra e taglio il traguardo
con un tempo onorevole (36’31), date le condizioni climatiche e soprattutto
fisiche, ma non certo eccelso.
A onor del vero, come aggravante, va sottolineato che il mio gps segna una distanza totale di 9.82 km, quindi il mio tempo vale almeno 37’00. Per carità, non mi lamento, ma di certo si può e si deve fare di meglio.
A onor del vero, come aggravante, va sottolineato che il mio gps segna una distanza totale di 9.82 km, quindi il mio tempo vale almeno 37’00. Per carità, non mi lamento, ma di certo si può e si deve fare di meglio.
Ovviamente
all’arrivo mi dimentico di obliterare il chip e vengo richiamato ed invitato in
tutta fretta a provvedere prima che giunga il triatleta, privandomi della prima
vittoria della mia vita podistica.
Sobria premiazione del vincitore |
Vittoria che fa
morale sicuramente, ma che mi lascia sconcertato per il livello di sofferenza
e per la ricorrenza del dolore al fianco che hanno caratterizzato la seconda
metà di gara.
Sono certo che, se avessi
adottato una tattica più guardinga e controllata nei primi 3-4 km, non avrei
sofferto così. Devo imparare ad ascoltare il coach e a non lasciarmi prendere dall’entusiasmo,
anche perché le mie caratteristiche mi portano a preferire la lunga e lenta
progressione alla partenza lanciata e a razzo.
Poi devo anche
capire per quale motivo una persona che si allena regolarmente debba essere colpito
da questi lancinanti dolori in zona fegato, ormai troppo ricorrenti per essere
imputati a semplice ed incidentale casualità. Certo è che non mi sono mai
capitati durante le gare corse in Italia, il che potrebbe farmi sospettare che
si tratti di qualcosa legato al regime alimentare o al mio stile di vita. Cosa
però?
Detto questo,
attendo con impazienza di rimettermi alla prova fin da domenica prossima, con
la viva speranza di concludere la gara più degnamente e con la convinzione che
le corse si vincono contro l’orologio e non contro gli avversari. Almeno per me
così è.
Il premio (mela esclusa!) |
Prossima gara la Kenley Airfield 10 km domenica 10 febbraio e, poi, forse (ma solo forse) un'altra gara sul circuito di Dorney Lake ma stavolta di 5 km (il 23 febbraio).
Viva i podisti di tutte le latitudini, viva il canottaggio e viva la Regina.
Viva i podisti di tutte le latitudini, viva il canottaggio e viva la Regina.
hasta la vitoria! siempre!!!
ReplyDeleteE pernacchiona ai triathleti :)
Grande Leo!Più forte del vento, della fatica e del dolore!
ReplyDeleteAd aprile li inondiamo di biancoceleste!!
Non escluderei anche un improvvisato 4 senza sul bacino olimpico
°_°
Certo che sti inglesi...almeno la mela...
@Gert: inutile lasciarsi andare ad esultanze, la gara era di livello bassino
ReplyDelete@Fabio: quel dolore al fianco deve scomparire perché mi limita psicologicamente. Vai con quattro senza!!