Scrivo questo
post con grande ritardo rispetto agli eventi narrati, ma sono state settimane molto
intense lavorativamente parlando, con vari pensieri, diffusa stanchezza e di
rado voglia di sedermi al pc e scrivere qualcosa di sensato.
Questa gara, la
Tempest 10 Miles, rappresenta un appuntamento per me ormai fisso da quando mi
sono trasferito in suolo inglese. E’stata infatti la prima gara “seria” corsa
in questa Nazione nel lontano marzo del 2011 e da allora non ho perso
un’edizione, vivendo con una certa fierezza la ricorrenza dell’occasione.
La Tempest prende
il via da un ex aeroporto della RAF, oggi utilizzato soprattutto come set
cinematografico e come set di vari programmi televisivi di stuntman per prove di
spericolatezza al volante . Come ogni anno, il clima è freddo ma
l’organizzazione di gara impeccabile, con decine e decine di marshalls
disseminati lungo il tracciato e sempre pronti a regalare un applauso od un
sorriso a noi podisti.
Ai nastri di
partenza si presenta uno sparuto gruppo per la gara di 10 miglia (circa 250
persone) ed un ben più numeroso esercito di eroi che gareggiano sulla distanza
di 20 miglia (circa 750 anime).
Il tracciato di
questa gara inizia con un bel tratto pianeggiante di circa 4 km all’interno
dell’aeroporto (sulle pista di decollo e atterraggio) dopo il quale si lascia
l’ex base e ci si addentra nella campagna circostante per oltre 11 km di
saliscendi molto muscolari e tecnicamente impegnativi, fra fattorie e cottage
tipicissimi.
Lo spirito pre-partenza
è quello rilassato del tapascione che non ha troppo da chiedere alla gara, anomala
nella distanza (10 miglia, ovvero 16 km) e capitata in pieno carico di
preparazione alla mezzamaratona del 16 marzo. Il coach, da anziano esperto che
conosce i suoi polli, mi aveva intimato di affrontare la Tempest 10 come si
affronterebbe un buon allenamento “spinto”, da correre alla media di
3’55-4’00/km senza strafare e ricordando che appena tre giorni prima avevo
fatto il massacrante 4x3000 mt in pista. Insomma, vivere il bel clima della
domenica mattina ai nastri di partenza senza però stancarsi né soffrire, questo
deve essere il mio motto. Devo ammettere che, unito a delle previsioni
meteorologiche fantastiche (nuvoloso, 3 gradi alla partenza e vento debole!!), tale
approccio mi ha dato enorme serenità nell’affrontare la sveglia alle 6.15 del
mattino di gara
Area registrazione |
Hangar adibito a stand Mizuno e a tavola calda |
Fin dall’arrivo
noto un’organizzazione impeccabile, con numerosi volontari a dirigere e a
smistare verso i vari parcheggi il flusso di auto con ordine puntiglioso e
meticolosissimo. In zona “registration” noto quest’anno che un hangar
dell’aeroporto è stato adibito ad area stand della Mizuno e di altre marche
sportive, oltre che a punto ristoro per chi accompagna i podisti e vuole
riscaldarsi con qualche cibo o bevanda calda. I bagni chimici, miraggio di ogni
podista che si rispetti, sono numerosissimi e la fila più che accettabile, la
gente sembra allegra ed io mi concedo 3 km di riscaldamento prima di
posizionarmi nelle prime file per la partenza.
A due passi dalla partenza (notare la manica a vento piatta!) |
Come detto, i
primi 3-4 km si corrono all’interno dell’aeroporto calcando l’asfalto della
pista di rullaggio/decollo/atterraggio di quella che è stata un tempo una
trafficata ed importante base della Royal Air Force britannica. Vedo subito
prendere la testa il vincitore finale della gara dei 32 km, seguito da un
atleta dall’inconfondible canottiera arancione del Woking AC (la società per
cui sono tesserato anche io, oltre alla Lazio Runners Team ovviamente) e da
altri 7-8 baldi podisti. Dietro di noi oltre 750 atleti (e meno atleti) che
formano un lungo, allegro e colorito serpentone in questa nuvolosa domenica di
marzo.
Approfittando del
tracciato inizialmente pianeggiante, imposto il pilota automatico ed entro in
modalità risparmio energetico chiudendo i primi 4 km rispettivamente a 3’44,
3’50, 3’52 e 3’56, prima di affrontare un primo strappo di 300 metri di ripida
salita appena lasciato il sedime aeroportuale.
Quinto km chiuso
a 3’57, con parziale sui 5000 mt di 19’07, anche troppo veloce rispetto alle
disposizioni della vigilia ricevute dal coach, ma perfettamente in linea con la
voglia di andare in scioltezza, seguendo solamente le sensazioni del fisico e
non guardando molto il gps al polso. Dopo 500 metri di discesa, dal km 5.3
inizia una arrampicata di quasi due chilometri, che decido di affrontare in
buona spinta e senza frenare eccessivamente “la gamba”. Sesto km 3’46, settimo
3’50, ottavo 3’55. Da qui inizia una discesona di pari lunghezza che mi fa
registrare un nono km a 3’44 ed un decimo a 3’41. Parziale ai 10000 mt di 38’03,
dunque in split negativo rispetto ai primi 5 km di 11 secondi, non male se si
considera la natura assai muscolare del tracciato proprio dal km 5 al km 10.
Intorno a due
terzi di gara trovo un obiettivo stimolante che mi accompagnerà fino al
traguardo: si tratta di un avversario, fino al km 11 (chiuso a 3’50) ben
distante da me, ma che gradualmente e lentamente riprendo fino a tallonare
intorno al km 12 (3’44). Si tratta del classico esempio di podista M45, forse
anche M50, in eccellente forma, con grande tecnica di corsa, leggerezza ed
elasticità nei movimenti, un evidente tapascione doc che assomiglia ad un
incrocio fra il giornalista ed europarlamentare David Sassoli ed il saltatore
triplo Jonathan Edwards! La lepre maledetta, dalla chioma imbiancata per gli
anni, sembra andare molto speditamente e per lunghi tratti di gara accorcio il
distacco in salita ma perdo il contatto nelle discese. Il km 13, causa anche
una salitona di oltre 300 metri, si chiude a 3’55 ma con una incoraggiante riduzione
del gap che mi separa dal podista esperto che mi precede (15-20 metri). Memore
del monito del coach, non attacco ma lascio fare il passo a lui, che
sicuramente mi sente alle calcagna ed è in una situazione psicologica di
inferiorità. Al km 14 (3’44) la strada si fa meno ondulata ed io ormai sono a
una manciata di secondi dall’inseguitore, davanti a lui un manipolo di due
podisti staccati un centinaio di metri, preceduti a loro volta dal ragazzo
dalla canottiera arancione di altri 30’’. Al km 14.5, quando l’aeroporto è già
in vista, decido di rompere gli indugi, affiancare, fare i complimenti al
canuto tapascione ed ingranare una marcia più veloce, giusto per non farmi
riprendere e per lasciarmelo alle spalle. Il km 15 (3’46) sarà il preludio alla
grande progressione finale, con ingresso ed ultimi 500-600 metri sul rettilineo
della pista di decollo e buon ultimo 1000 a 3’25.
Resta un’ottima
sensazione di forma, in una gara chiusa a 3’47/km di media senza il minimo
affanno, quasi in scioltezza e senza faticare. Se avessi avuto velleità
competitive, avrei potuto giocarmi tranquillamente il podio e tallonare fin da
metà gara i due davanti a me, che mi hanno preceduto di una trentina di secondi
arrivando però al traguardo agonizzanti e, almeno uno dei due, con nausea e vomito sul pratone subito dopo
l’arrivo!
Per me un ottimo
test in vista della piacevolissima sgambata in suolo italico, prevista per il 10
marzo alla Correndo nei Giardini - pianeggiante corsa di 10 km sul litorale a
nord di Roma- e soprattutto in chiave preparazione alla mezzamaratona di Eton
fissata per sabato 16 marzo, vero obiettivo di questa prima fase di stagione
podistica.
In questa
domenica alle mie latitudini fredda ed invernale, il vero ed unico trionfatore
è mio fratello Luigi che, alla partecipatissima e soleggiatissima Roma-Ostia,
ha per la prima volta in vita sua corso e completato una mezzamaratona,
dimostrando con grande grinta che la forza di volontà stra-paga e spesso dà
enormi soddisfazioni. Il solo effetto collaterale di un terzo fratello podista
è che ormai è diventato più fissato di me e del coach e non passa giorno senza
che non chieda di allenamenti, ripetute, scarpe A3, A2, etc.etc.
Insomma, il coach
Luca ha creato due mostri, quindi due persone a sua immagine e somiglianza!
Viva le gare in
suolo inglese che mi ricordano il tempo passato in questa terra!
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