Stemma degli Elmbridge Road Runners, organizzatori impeccabili della gara |
A oltre un mese
dalla bella corsa nel parco londinese di Battersea, decido di iscrivermi ad un’altra
gara di 10 km non distante da casa mia, a Weybridge/Walton-on-Thames, tanto per
dare una ventata di agonismo agli allenamenti estivi.
Un ragazzo serio ed un podista con il pettorale 286! |
Mi presento a
questo evento, chiamato Elmbridge 10k, in condizioni non ottimali, dopo sette
giorni da un fatto per me piuttosto raro, ovvero una brusca interruzione
di un allenamento a causa di spossatezza, fatica, il solito dolore al fianco
destro e da mancanza di energia tutto sommato immotivata, visto che si trattava di una prova non certo proibitiva (16 km a 4'00/km).
Gli ultimi 10 giorni,
peraltro, sono stati caratterizzati da temperature insolitamente elevate per l’Inghilterra
(28-31 gradi), con relativi allenamenti svolti sempre in condizioni climatiche dal mio punto di vista molto faticose.
Insomma, le
premesse per la gara non erano di certo fra le migliori dal punto di vista fisico-ambientale.
Se a questo aggiungiamo che, dal dopo Pedagnalonga, non ho avuto particolari stimoli
agonistici, ecco forse spiegato il mediocre risultato di quest’oggi.
Nel novero delle
cose positive, va menzionato che, per l’occasione, ai piedi indossavo un nuovo paio di
scarpe, ree di aver mandato in pensione le fantastiche Adidas arancioni: si tratta
delle Saucony Kinvara 3 (misura UK 10.5), al piede risultano da
subito molto comode, anche se fin troppo ammortizzate per essere delle A2. Mi
sono state consigliate dal coach, le ho prese senza esitare in grande offerta e
ho deciso di provarle immediatamente, dopo qualche chilometro appena di cammino
il giorno precedente la gara.
Le mie nuove compagne di squadra |
Va detto che la
mattinata di questo 21 luglio presentava condizioni climatiche ideali: 18
gradi, nuvoloso e vento non eccessivo ma forte al punto giusto per neutralizzare l’elevato
tasso di umidità, reso ancora più fastidioso dalla vicinanza del Tamigi.
L’organizzazione
di gara è perfetta: parcheggio auto immenso sorvegliato (e gratuito), volontari disseminati ovunque, apertura della struttura del Leisure Centre per
distribuzione pettorali e bagni, chip elettronico, oltre 500 iscritti, livello
piuttosto elevato dei partecipanti (causa abbinamento con una tappa del campionato interregionale) ed eccellente segnalazione dei chilometri lungo il percorso, mai come in questa gara
coincidenti con il mio GPS.
Edificio registrazioni, spogliatoi |
Registrazione e ritiro pettorale |
Giungo sulla
linea di partenza dopo un decoroso riscaldamento e gli allunghi di rito, tutto
sembra andare al meglio, si respira un bel clima agonistico, non ho velleità
cronometriche, ma non ho neanche ragioni particolari per fare male.
La start viene
dato puntualmente alle 9, noto subito decine di atleti che sfrecciano a
velocità supersonica: i primi quattro chilometri, pianeggianti, si corrono su
strada e filano via lisci. Non sono brillante, sento che le gambe non hanno
fluidità, ma riesco a rimanere in gruppo e procedo con una certa regolarità (3’40,
3’41, 3’38, 3’42), portandomi decisamente all’attivo nel saldo fra i sorpassi
fatti e quelli subiti. Nei tratti di vento contrario, mi riparo dietro a
qualche malcapitato podista di turno, le gambe sono stanche ma non imballate.
Quando arrivo a
metà gara, purtroppo, lo scenario cambia radicalmente, finisce la corsa
piacevole che mi stavo godendo ed inizia uno stato di fatica innaturale, di
debolezza fisica, di gambe pesanti, di inaccettabile affanno data la modesta
velocità. Va detto che simile stato coincide esattamente con l’inversione di
marcia e con gli ultimi 5 chilometri abbondanti che si corrono su un sentiero
sterrato del lungo Tamigi, reso polveroso e “sdrucciolevole” dagli ultimi dieci
giorni di “siccità” inglese.
Per carità, il tracciato è pianeggiante ed il
vincitore chiuderà con un fantastico tempo (30’50), a testimonianza della
natura veloce del percorso, eppure appena lascio l’asfalto sento che i piedi
perdono presa e tendono a pattinare, dandomi di fatto l’impressione di faticare
molto di più per tenere anche un’andatura piuttosto mediocre (3’45, 3’44, 3’50, 3’47,
3’50, 3’45).
Tanto per trovare una nota positiva in questi oltre cinque chilometri di sentiero lungo il Tamigi, mi ha fatto piacere vedere altri atleti gareggiare in questa nuvolosa domenica mattina e lanciarsi in veri e propri sprint di canottaggio, fra le grida di incitazione ed il tifo di parenti e compagni di squadra, strategicamente appostati sulla sponda del fiume.
Tanto per trovare una nota positiva in questi oltre cinque chilometri di sentiero lungo il Tamigi, mi ha fatto piacere vedere altri atleti gareggiare in questa nuvolosa domenica mattina e lanciarsi in veri e propri sprint di canottaggio, fra le grida di incitazione ed il tifo di parenti e compagni di squadra, strategicamente appostati sulla sponda del fiume.
Scorcio del lungo Tamigi e del tracciato negli ultimi 5 km |
Tornando alla
dura cronaca, canottieri a parte, resta lo sconforto di essere superato
da almeno 7-8 persone, cosa che di solito non mi capita nelle seconde parti di gara,
tutti ingredienti che mi fanno soffrire psicologicamente e mi portano a non
desiderare altro che il traguardo, con deliberata e sconfortante rinuncia ad
una qualsivoglia progressione negli ultimi chilometri.
Giungo all’arrivo
facendo registrare un modesto tempo di 37’29, il peggiore sulla distanza dei 10
chilometri dall’ottobre 2012, il che lascia parecchie perplessità e, a caldo,
mi fa già presagire scenari di declino verticale e Mizuno appese al chiodo.
Non so se si
tratti di un campanello di allarme o, come dice in maniera rassicurante il
coach, di una normale flessione dovuta a mancanza di stimoli agonistici (“non
preoccuparti, i tempi degli allenamenti sono buoni”, mi dirà poi forse
per consolarmi).
Spero sia solamente
mancanza di agonismo, anche perché faticare come un mulo per poi arrivare al
traguardo e leggere un tempo così alto è, dal punto di vista prettamente
podistico, davvero sconfortante. Forse si tratta anche di un fisiologico calo
dopo una stagione intensa o forse, semplicemente, le gambe sono partite per le
ferie con un mese abbondante di anticipo rispetto al resto del corpo...
A ben vedere, peraltro,
dal cilindro magico del podista si potrebbero tirare fuori tante scusanti e
spiegazioni sempre pronte per l’uso: donazione di sangue avvenuta un paio di
settimane prima della gara; 10 giorni di allenamenti con clima torrido e
relativa insonnia, debolezza e spossatezza per chi non è decisamente più abituato
al caldo; padrone di casa al piano sopra la mia camera da letto che ha deciso
bene di fare una festa-barbecue la sera prima della corsa, con una decina di
persone urlanti e ubriache e rumori molesti fino all’una di notte (che di fatto
hanno tenuto sveglio anche me!); assenza del coach o dei Rea brothers, prossimo
obiettivo agonistico ancora troppo lontano (mezzamaratona di Oslo fra due mesi)
o lontanissimo (maratona di Firenze fra quattro mesi); calo fisiologico
soggettivo della forma nei mesi estivi (proprio lo scorso luglio, alla Tre
Comuni di Roccaraso, mi esibii in una delle prove podistiche più scarse della
mia giovane carriera di aspirante-runner).
Insomma, ci
sarebbero tante scusanti e tante ragioni, vere e presunte, che mi guardo bene
dal tirar fuori per giustificare una simile prestazione. La sola cosa che conta
adesso è recuperare non solamente la forma podistica ma soprattutto energie
e forze: la motivazione, quella, non è mai venuta meno.
Viva i podisti
del Tamigi e viva i canottieri di tutto il mondo!
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