Mi scuso per l’umore
non proprio a mille che, dopo una Pasqua non esaltante in un’Inghilterra
invernale e gelida, non renderà questo post particolarmente avvincente.
La gara di cui
oggi vorrei parlare è stata corsa il giorno del Venerdì Santo - per gli inglesi
festivo (Good Friday)- e si tratta di una delle manifestazioni podistiche più
antiche dell’isola, giunta quest’anno alla sua sessantesima edizione.
La mia stessa
iscrizione è stata decisa all’ultimo minuto, una volta constatato il non esaltante
programma pasquale e con la voglia di mettermi di nuovo alla prova sulla
distanza delle dieci miglia dopo la positiva corsa Tempest, di cui ho già parlato
un paio di post fa.
La prima
Maidehead Easter 10, dicevo, si è tenuta nel giorno di Pasqua del 1953, nello
stesso anno dell’incoronazione della regina Elisabetta II. Allora la quota di
iscrizione era di 12.5 centesimi, con un budget totale per l’intera
manifestazione, inclusi i premi, di 58 sterline ed il divieto per le donne di
prendere parte all’evento. Ancora a metà degli anni Settanta solamente un
centinaio di podisti erano soliti presentarsi allo start, ragion per cui si
decise di spostare la partenza al Venerdì Santo e non più al giorno di Pasqua. Con
il passare degli anni la corsa è stata abbinata a vari campionati regionali e
nazionali, con la massiccia partecipazione di atleti di livello nazionale ed internazionale
e, per l’edizione 2013, di oltre 1200 baldi e volenterosi podisti.
Un affollato tendone per il ritiro dei pettorali |
Ad accogliermi
all’arrivo sul luogo della manifestazione noto subito decine e decine di
volontari che curano ogni minimo dettaglio dalle indicazioni per il parcheggio,
alla gestione del traffico e alla distribuzione dei pettorali, in un’organizzazione
capillare di cui avevo letto ottime recensioni nei giorni precedenti.
La zona partenza,
con tanto di tendone e race village, è inserita in una zona di uffici/industriale
moderna, forse non accattivante per l’occhio, ma di sicura funzionalità e
comodità per accogliere senza il minimo ingorgo oltre 1000 automobili. Lo
stesso tracciato prende il via con un doppio giro circolare all’interno della
zona industriale, salvo poi articolarsi in un ben più affascinante e piacevole
scenario bucolico nella tipica campagna inglese.
Condizioni
meteorologiche non eccelse per correre non tanto per la temperatura intorno ai
2-3 gradi, quanto per il fastidioso vento forte da nord-est che sta falcidiando
l’Inghilterra da oltre due settimane e che non sembra voler smettere. Quanto al
cielo, per fortuna un po’ di sole aiuta a sopportare meglio le temperature e a
dare l’illusione che la primavera, un giorno o l’altro, potrebbe per sbaglio
arrivare anche qui.
Un bel sole, ma tanto freddo |
La corsa parte con
puntualità alle 9.30, io mi piazzo fra le prime file, a constato subito un
livello medio altissimo dei podisti che mi circondano, almeno rispetto alle
gare che sono abituato a correre in Inghilterra. Sento in partenza le gambe
molto stanche ed in generale una diffusa sensazione di spossatezza. Poco male,
il coach ha come obiettivo di farmi fare qualche gara fra i 16 ed i 21 km sotto
a 3’50 al km, il che è possibile anche in condizioni di forma non straordinarie
come oggi.
Lungo il
tracciato noto una grande partecipazione di pubblico, oltre a numerosi
volontari sparsi per tutte le dieci miglia di percorso. Un gran bello
spettacolo che mi fa dimenticare la stanchezza e mi aiuta ad impostare un buon
ritmo ed una discreta velocità di crociera.
Il tracciato è
veloce, non perfettamente pianeggiante, ma adatto a cercare un PB visto che i
falsipiani hanno pendenze piuttosto modeste e dolci.
Il mio obiettivo
segreto alla vigilia era di abbattere il muro dei 60’, migliorando il 60’26 fatto
registrare poche settimane prima alla Tempest. Certo, in condizioni meteo meno
ventose e di forma più brillanti e se non ci fosse stato un ostacolo all’ottavo
miglio, con un improvviso restringimento di corsia ed un conseguente
rallentamento dovuto ad una lenta fila indiana di podisti che mi precedevano, sarei
riuscito a farcela senza il minimo dubbio. Come si sa, il vocabolario dei
podisti-tapascioni è caratterizzato da scuse, da tanti “se” e da tanti “ma” ed
io non faccio eccezione.
Insomma, senza “menare
il torrone”, come dicono a Cambridge, chiuderò la mia gara con un ottimo 60’10,
ad una media di 3’43 per percorrere i 16180 metri totali. Questo significa,
prendendo la distanza da GPS di 16000 metri, la stessa della Tempest per
intenderci, un eccellente 59’34 virtuale, ben al di sotto dei quel muro dell’ora
che mi proponevo di abbattare alla vigilia. Va anche detto, ad onor del vero,
che 10 miglia equivalgono a 16161 metri quindi la distanza più corretta è
quella di Maidenhead e non della Tempest. 160-180 metri in meno vogliono dire
35-36’’ di sconto, che sono tantissimi!
Restano in
conclusione sensazioni constrastanti: un inizio piuttosto fiacco eppure una
prima parte di gara, cronometro alla mano, più veloce dei successivi parziali
dei 5 km, forse proprio per quell’intoppo all’ottavo miglio e per il vento che
si è fatto sentire maggiormente con lo sfilacciamento dei podisti lungo il
tracciato. Giungo al traguardo con un ultimo 1000 mt a 3’31 che fa sempre
morale e senza affanno né particolare fatica, che fa ancora meglio allo spirito. Il piazzamento, per quanto conta, è discreto considerato il livello medio molto elevato: cinquantesimo su circa 1100 anime giunte al traguardo.
In sintesi: primi
5 km in 18’34, passaggio ai 10 km in 37’15 (secondi 5 km: in 18’41), passaggio
ai 15 km in 56’04 (terzi 5 km in 18’51). A guardarli così si direbbe un calo
non incoraggiante, ma penso sia dovuto all'altimetria del tracciato e alla
maggiore esposizione al fastidioso vento, più che a un calo per la fatica. Media
finale, dicevo, di 3’43 al km, ben al di sotto del target minimo imposto dal
coach di 3’50.
Qualche minuto dopo l'arrivo, in zona traguardo, giusto il tempo di fare una foto e correre al riparo dal vento |
Vince la corsa lo
stesso atleta che ha trionfato lo scorso anno e che ha rappresentato lo Sri
Lanka alla maratona olimpica di Londra. La sua media chilometrica è per me
stratosferica (3’06) anche se quest’anno è giunto al traguardo impiegandoci
quasi un minuto in più che nell’edizione 2012. Colpa del vento? Davanti a me
ben due donne, la prima che ha chiuso a 3’30 e la seconda a 3’32 al km. Mostruose!
In conclusione,
si è trattato di una positiva giornata di sport, non tanto per il mio
rendimento in gara quanto per essere riuscito ad ingannare il tempo in queste
vacanze pasquali non particolarmente positive. Resta anche la consapevolezza di
avere fatto un eccellente allenamento in attesa dell’arrivo del coach e dei
fratelli Fabio e Giampiero fra una settimana, in quella che si spera possa
essere una bella occasione di svago in compagnia. Per la cronaca, domenica 7
aprile correremo io la gara di 20 km, Fabio e Giampiero quella di 10 km ed il
coach la 5 km con partenza in contemporanea intorno al lago di Dorney-Eton.
Mi scuso ancora
per l’umore non proprio esaltante, ma tanto per citare un film a me molto caro:
“a volte sei tu che mangi l’orso e a volte...”
Viva i podisti di
tutto il mondo, dallo Sri Lanka all’Italia!
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