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Sunday 3 February 2013

Run Eton 10 km - 2 febbraio 2013 ...VITTORIA!!!!




Finalmente si ritorna a gareggiare in suolo britannico, dopo il rinvio della Kenley 10 km Run, prevista per il 27 gennaio scorso ma rimandata a domenica 10 febbraio a causa della neve e del ghiaccio delle scorse settimane.

Ripartirei proprio dalle condizioni meteorologiche che hanno caratterizzato il mio rientro in Inghilterra: se appena dopo l’Epifania il clima sembrava accettabile e addirittura temperato rispetto agli standard del posto, le ultime 2-3 settimane di allenamenti sono state martoriate e disturbate da neve, ghiaccio, vento fortissimo e, ovviamente, freddo, freddo e ancora freddo.

Consueto scatto ricordo pre-gara


Sono rientrato dall’Italia con una latente sensazione di appesantimento post-vacanziero; forse mi sbaglio e forse è solo un’impressione, ma ho constatato che in queste tre settimane ho faticato molto di più a portare a termine allenamenti a volte anche modesti. Altri segnali sembrerebbero far pensare ad un periodo non eccelso, fisicamente parlando, ma voglio sperare che si tratti semplicemente di tanta stanchezza, poche ore dormite, clima che scoraggia la pratica della corsa, parecchio stress e soliti viaggi di lavoro.

Appresa con delusione la notizia del rinvio della gara dello scorso fine settimana, d’accordo con il coach, ho optato per l’iscrizione last-minute alla Run Eton 10 km, una corsa pianeggiante sulle sponde del bacino di canottaggio olimpico di Dorney Lake, un vero e proprio tempio dello sport inglese. Il luogo, peraltro, mi è particolarmente caro perché teatro, nella primavera dello scorso anno, della prima corsa del coach in suolo inglese (vedere post “All Nations 10 km”). Bei ricordi risalenti a quasi 15 mesi fa.

Primi 2.5 km (frecce rosse) di vento a favore, secondi 2.5 km (frecce gialle) di vento contro

Il coach, che è molto meno romantico di me, mi aveva ammonito, con la consueta diffidenza, in merito ai pericoli di una gara del genere, ricordando bene che il tracciato di Dorney Lake ha una caratteristica potenzialmente insidiosissima per ogni podista: è del tutto sprovvisto di barriere naturali protettive ed è drammaticamente esposto ai venti ed alle folate, che tanto spesso soffiano a queste latitudini. Per il tapascione, a parte il ghiaccio per terra, il vero nemico è il vento, non tanto il freddo, il caldo o la pioggia.
Non curandomi dei suoi consigli, peraltro molto saggi, decido di iscrivermi e a iniziare il consueto controllo del sito Met Office UK per capire ogni giorno di più che cosa mi avrebbe riservato il clima per questa giornata. Purtroppo apprenderò molto presto di temperature poco sopra allo zero ma soprattutto di un fortissimo e gelido vento da nord-ovest, esattamente contrario per metà gara (e soprattutto per gli ultimi 2.5 km!).

Fango in zona parcheggio

La Run Eton 10 km fa parte di un fittissimo programma di gare di corsa, triathlon e duathlon che si disputeranno in serie nei prossimi mesi. La corsa cui partecipo io vede la partenza contemporanea degli atleti della 5 km (1 giro del circuito lungolago), della 10 km (2 giri) e della 20 km (4 giri). La stessa gara si correrà a inizio marzo e domenica 7 aprile, quando ad onorarla sarà la presenza del coach e dei gagliardi fratelli Fabio e Giampiero, insostituibili compagni di squadra Lazio Runners Team e di trasferte internazionali.

Scorcio zona partenza

Primo tratto di gara, con vento a favore
Trattandosi della prima delle tre tappe, ho affrontato questa corsa nella totale ignoranza dello storico dei risultati delle precedenti edizioni. Se questo da un lato mi ha impedito di lanciarmi in ricerche forsennate sugli atleti passati, dall’altro ha dato totale licenza al coach di avventurarsi in pronostici per me impossibili ed in predizioni da guru dei tapascioni. Di seguito riporto le sue frasi (ipse dixit) pre-gara:
-Correrai sempre da solo e per la vittoria,
-In partenza mettiti in scia del battistrada,
-Se il battistrada è troppo lento per te, staccati un paio di metri e fai la tattica del gatto morto, ti riposi e a ¾ di gara te ne vai in progressione,
-Se si crea un gruppetto, datevi cambi regolari e nessuno si mette davanti a tirare controvento. Rallenta o staccali,
-Non pensare al tempo, viste le condizioni climatiche, ma solo a fare gara sull’uomo.

Il buon senso di gran parte di questi consigli sarà da me constatato in gara, anche se purtroppo sotto forma di rimpianto per non averli seguiti! Quanto alla metafora del gatto morto, ho seguito più la componente del morto che quella felina...
La gara, la cui partenza è fissata a un comodissimo orario (13h30), inizia per me con un sopralluogo un’ora prima dello start. Enorme parcheggio su erba (e fango), bacino di canottaggio con un paio di equipaggi in azione, acqua increspatissima dal vento, bandiere dello sponsor (Gatorade) come vele spiegate, insomma ciò che mi appare subito evidente è che ci sarà da soffrire, visto che i km 2.5-5 e 7.5-10 (quelli segnati dalle frecce gialle nella mappa) saranno clamorosamente controvento.

Ventosa zona partenza/arrivo

Completata la procedura di registrazione e ritirato il pettorale, scopro con somma sorpresa che il chip ha la forma di una pennetta USB legata ad un velcro a strappo da indossare intorno a una delle dita delle mani. Ciò che più mi lascia sbalordito è che a fine gara, a quanto capisco, bisognerà infilare la testa di questo chip all’interno di una macchina obliteratrice, che solo in quel momento rileva il tempo ufficiale. Mi domando come sia possibile, in caso di sprint e arrivo in volata, stabilire che chi abbia avuto la meglio. Quando me lo spiegano, penso di avere capito male e non presto la dovuta attenzione alla vicenda. Altra prassi sbalorditiva per certi versi è la cara e vecchia punzonatura pre-gara, con ogni podista chiamato, appena ritirato il chip, ad inserirne una sezione all’interno di una macchinetta simile a quella che poi si troverà al traguardo. La punzonatura post-moderna...fantastica...

Il chip anulare (anche se io lo porto al medio). Mano ghiacciata

Dato il vento fortissimo, malgrado la giornata soleggiata, la temperatura di 5 gradi sembra ben al di sotto dello zero ed io mi rifugio in auto tremante ed infreddolito. Esco alle 13.10 per un quarto d’ora di riscaldamento lungo il tracciato di gara, con i soliti ed immancabili allunghi, salvo dispormi a due minuti dalla partenza in prossimità delle prime posizioni.
3,2, 1 si parte...Come previsto, i primi 2.5 km sono con il vento a favore, io sbaglio subito la tattica di gara e imposto un ritmo elevato per tenere la testa del gruppetto di partenza (escluso un pazzo che ha staccato tutti e che, per fortuna, gareggiava la corsa da 5 km). Davanti a me due ragazzi ed una donna piuttosto forte. Li tengo sotto controllo e supero la donna poco dopo il cartello del primo km (3’29). Ai bordi del bacino si vede una squadra di canottaggio fare esercizi di atletica e guardarci incuriosita. Il secondo km passa liscio in 3’32, colpevoli anche un paio di mini-cavalcavia/ponti e la mia intenzione di non strafare. Si giunge al termine della “vasca” del circuito di canottaggio e, con sommo dispiacere, scopro che non si ritorna dalla sponda opposta, il parallelo lato lungo del rettangolo, ma si fa un’inversione a “u” intorno al solito birillo prima di risalire per lo stesso lato del lago ma su un vialetto ancora più esterno rispetto a quello da cui siamo giunti.
Invertito il senso di marcia, vengo travolto da una barriera di vento che riesco a neutralizzare alla meno peggio nel terzo km (3’38), ma che mi presenta inevitabilmente il conto al quarto (3’48) e al quinto (3’50). Da sottolineare l’azzeccatissima previsione del coach circa una mia condotta di gara in totale solitudine, eccezion fatta per un forte atleta della corsa dei 20 km che, paraculissimo, si appiccica alle mie spalle per 2 dei 2.5 km di vento contrario, salvo poi superarmi e dirmi di accodarmi a lui (grazie al cavolo, mi fai fare da locomotiva con il vento contrario e mi dai il cambio a 500 metri dal giro di boa e dal vento in poppa?). Gli dico di andare e lo vedrò sempre davanti a me di un centinaio di metri.
Al km 4.6 mi viene un fortissimo dolore al solito fianco destro (o fegato): lo sconforto è alle stelle e penso seriamente di ritirarmi al termine dei 5 km (18’17). Cerco di non pensare che quello è lo stesso maledetto dolore che mi ha colpito a Nottingham (ultimo dei 21,097 km) e ad Amersfoort (ultimo dei 21,097 km), solo che questa volta si presenta addirittura prima di metà gara. Il resto della storia mi vedrà affrontare i 2.5 km di vento a favore in una sorta di stato di agonia senza soluzione di continuità. Per fortuna ho nel frattempo affiancato e superato i due ragazzi con cui ero partito, che sembrano soffrire quanto me, ma so di non poterli staccare di tanto.
Decido di sfruttare il vento in poppa rallentando sensibilmente rispetto ai primi due km e gestendo il dolore al fianco destro, che inevitabilmente fa scomporre la mia postura e deforma la linearità della mia corsa, con inevitabili dolori a catena alla schiena ed alla colonna vertebrale. Il sesto si chiude in 3’42 ed il settimo in 3’40 (ricordo che sono i due km con vento a favore).
Al momento di girare la boa, davanti ho ancora il tizio che mi voleva dare il cambio ed un altro tizio che era partito fortissimo ma che è in vistoso calo: entrambi indossano il pettorale della corsa da 20 km, il che significa che, al km 7.5 ed in pieno stato di sofferenza, sono virtualmente il primo della gara sui 10 km...la mia gara! Il secondo è un ragazzo fisicatissimo, sicuramente un triathleta, che in partenza mi aveva squadrato e che a due chilometri e mezzo dall’arrivo è a soli 5-6 secondi di distanza da me.
Si gira la boa, anzi il birillo, il vento sembra ancora più intenso. Non ci sono raffiche a 50 km/h come previsto, ma tira vento regolare a 50 km/h. La sofferenza non arriva a ondate, ma è costante, permanente. Il fianco fa leggermente meno male ma il dolore è salito in forma acuta alla bocca alta dello stomaco. Penso che prima o poi andrà capito che cosa diavolo sia e penso anche al coach ed al suo monito a proposito dei tracciati tanto esposti ai capricci di Eolo, per di più in terra inglese...

L’ottavo km, ormai in agonizzante solitudine, lo chiudo trascinandomi a 3’48, ma sento davvero di non averne più. Cerco di capire quanto disti il triatleta, ma non riesco a sentirne né passi né respiro: sarà ormai battuto oppure è il rumore del vento che copre tutto? Non lo so e non me ne curo, fatico, fatico tantissimo ed il nono arriva come una liberazione (3’53). Vedo bandiere e l’arco della zona traguardo, al km 9.5 decido di cedere a quanto fino ad allora avevo rifiutato categoricamente di fare: mi volto e controllo la situazione degli inseguitori alle mie spalle. Il triatleta è staccato, sono solo al traguardo, i due della 20 km hanno preso la direzione destra, io giro a sinistra e taglio il traguardo con un tempo onorevole (36’31), date le condizioni climatiche e soprattutto fisiche, ma non certo eccelso. 

A onor del vero, come aggravante, va sottolineato che il mio gps segna una distanza totale di 9.82 km, quindi il mio tempo vale almeno 37’00. Per carità, non mi lamento, ma di certo si può e si deve fare di meglio.

Ovviamente all’arrivo mi dimentico di obliterare il chip e vengo richiamato ed invitato in tutta fretta a provvedere prima che giunga il triatleta, privandomi della prima vittoria della mia vita podistica.

Sobria premiazione del vincitore

Vittoria che fa morale sicuramente, ma che mi lascia sconcertato per il livello di sofferenza e per la ricorrenza del dolore al fianco che hanno caratterizzato la seconda metà di gara.

Sono certo che, se avessi adottato una tattica più guardinga e controllata nei primi 3-4 km, non avrei sofferto così. Devo imparare ad ascoltare il coach e a non lasciarmi prendere dall’entusiasmo, anche perché le mie caratteristiche mi portano a preferire la lunga e lenta progressione alla partenza lanciata e a razzo.

Poi devo anche capire per quale motivo una persona che si allena regolarmente debba essere colpito da questi lancinanti dolori in zona fegato, ormai troppo ricorrenti per essere imputati a semplice ed incidentale casualità. Certo è che non mi sono mai capitati durante le gare corse in Italia, il che potrebbe farmi sospettare che si tratti di qualcosa legato al regime alimentare o al mio stile di vita. Cosa però?

Detto questo, attendo con impazienza di rimettermi alla prova fin da domenica prossima, con la viva speranza di concludere la gara più degnamente e con la convinzione che le corse si vincono contro l’orologio e non contro gli avversari. Almeno per me così è.
  
Il premio (mela esclusa!)
Prossima gara la Kenley Airfield 10 km domenica 10 febbraio e, poi, forse (ma solo forse) un'altra gara sul circuito di Dorney Lake ma stavolta di 5 km (il 23 febbraio).

Viva i podisti di tutte le latitudini, viva il canottaggio e viva la Regina.

3 comments:

  1. hasta la vitoria! siempre!!!
    E pernacchiona ai triathleti :)

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  2. Grande Leo!Più forte del vento, della fatica e del dolore!
    Ad aprile li inondiamo di biancoceleste!!
    Non escluderei anche un improvvisato 4 senza sul bacino olimpico
    °_°

    Certo che sti inglesi...almeno la mela...

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  3. @Gert: inutile lasciarsi andare ad esultanze, la gara era di livello bassino
    @Fabio: quel dolore al fianco deve scomparire perché mi limita psicologicamente. Vai con quattro senza!!

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